lunedì 25 gennaio 2010

Sembra impossibile ma, ancora si parla di varroa ; incredibile!

Quando nell’autunno del 1979 arrivò la notizia dell’avvicinarsi della varroa dal confine nord-est in realtà già tutto il territorio italiano era impestato con una distribuzione a macchia di leopardo ma noi non lo sapevamo. L’associazione apicoltori di Verona decise di effettuare una indagine diagnostica su tutto il territorio della provincia, si organizzarono allo scopo alcune squadre armate di gruppo elettrogeno, micro diffusore (nebulizzatore), maschera per gli operatori ed un prodotto acaricida a base di amitraze. In pochi giorni furono effettuati controlli su circa seicentocinquanta  allevamenti, tutti

associati, con il risultato di trovare soltanto qualche varroa in pochissimi allevamenti distribuiti in modo casuale su tutto il territorio della provincia. Inizia così, per me come per tantissimi altri, la battaglia contro la varroa. Le notizie correvano veloci tra gli apicoltori anche senza internet e senza telefoni cellulari; quando, di li a poco, ci si rese conto della gravità della situazione incominciò la ricerca parossistica del prodotto e del metodo più efficace per combattere il parassita varroa.
Come in tutte le emergenze si scatenarono gli appetiti di formidabili imbonitori che fondarono il loro successo sull’umana inclinazione a prendere una scorciatoia. Spuntarono a decine attrezzi, procedimenti, prodotti e metodi di somministrazione fai da te; si potrebbero raccontare molti aneddoti, che adesso ci fanno sorridere, ma che allora, nel marasma generale, trovavano consensi.
Ricordo pezzetti di collari antipulci per cani e gatti spacciati per antivarroa, miscele di mentolo, timolo e canfora, grasso di vaselina mescolato ad acaricidi, bottigliette evaporatrici di sostanze varie e poi cinghie per serrande, strisce di cartone o di pioppo tute imbevute di acaricidi di vario tipo per uso agricolo o veterinario ecc. ecc.
Ovviamente c’erano disponibili prodotti ufficiali testati che con il tempo si sono sempre più perfezionati e alcuni sono ancora oggi in uso ma, avevano il difetto di un costo eccessivo.
In questo quadro non so se più grave che deprimente, c’è stato qualche cervello fine che ha cercato di mettere ordine suggerendo da una parte metodologie standardizzate per gli interventi di tipo chimico e dall’altro sperimentando i primi metodi di lotta in parte biologica come il confinamento della regina, da ricordare sopra tutti lo splendido lavoro di divulgazione del prof Raffaele Bozzi di Serravalle Pistoiese, fisico e apicoltore. (http://www.apilandia.com/capt/doc/Sul_confinamento_di_ape_regina.pdf)
Gli apicoltori, quelli veri, non hanno mai smesso di cercare, per la lotta alla varroa, metodi efficaci, economici e rispettosi dell’ape e dei suoi prodotti; nascono da questo spirito attrezzi e metodi semplici quali le arnie a fondo di rete, le varie gabbiette di confinamento della regina per il blocco di covata, gli olii essenziali e relativi erogatori, gli acidi organici tra cui per ultimo l’acido ossalico ecc.
La diagnosi precoce è la premessa indispensabile a qualsiasi sistema di lotta che si vuole adottare contro la varroa; per una diagnosi efficace non occorre intervenire su tutti gli alveari di un apiario ma, è sufficiente un’indagine a campione.
D’altro canto non ha molto senso una diagnosi basata su un intervento di tipo chemioterapico, per tanti motivi tra cui il costo, l’inquinamento dell’ambiente alveare ed il pericolo di creare acari resistenti.
Un’eccellente soluzione al problema l’ha fornita l’apicoltore (ingegnere) Pasquale Angrisani ; egli ha messo a punto un metodo diagnostico basato sulla conta delle varroe cadute naturalmente durante un periodo prestabilito  dall’apicoltore (da cinque giorni ad un mese) il “ varroagramma ” , un grafico mediante il quale è possibile risalire in modo semplicissimo al grado di infestazione (numero totale di varroe) di un alveare: Il “ varroagramma ” di Angrisani è uno strumento semplicissimo alla portata di tutti, da me molte volte testato, che fornisce un risultato affidabile con un errore inferiore al 10%.
L’uso con poco criterio e senza un programma, coordinato per aree, di chemioterapici antivarroa e per di più, in quantità a piacere è il responsabile principale dell’insorgere di generazioni di varroe resistenti, solo la lotta biologica si  è dimostrata in grado di abbattere le varroe resistenti.
Un maestro e antesignano nella lotta biologica è l’apicoltore Michele Campero, il suo telaino a tre settori trappola/indicatore è in grado di abbattere fino al 90% delle varroe presenti nell’alveare e nello stesso tempo, imparando a leggere i segnali che le api vi lasciano si può prevedere il programma futuro prossimo dell’alveare, questo serve all’apicoltore per adottare le soluzioni tecniche più appropriate al suo programma di allevamento. La tecnica del telaino trappola/indicatore e le motivazioni biologiche sono ampliamente spiegate nel volume “ Apicoltura logica e razionale “ pubblicato per la prima volta nel 1990. 
Qualcuno, ignorantemente, potrebbe obiettare che il metodo è farraginoso e poco adatto ad un allevamento intensivo, io l’ho messo in pratica dal 1990 al 2003 su un allevamento di circa seicento alveari condotti a nomadismo, il metodo è perfetto se accoppiato ad un unico trattamento chemioterapico autunnale, magari con acido ossalico.
Cosa mi ha convinto ad abbandonare il metodo?
Nell’autunno del 2003 ho avuto l’opportunità e il piacere di assistere in diretta, durante il congresso mondiale di apicoltura, all’annuncio della scoperta dell’apicoltore Francesco Mussi di un metodo di lotta alla varroa, basato sulla capacità naturale delle api di liberarsi delle varroe.
Un colloquio privato di approfondimento con Mussi mi convinse della bontà delle sue osservazioni e mi spinse a mettere in pratica lo SpazioMussi ©, questo il nome del metodo. Così nella primavera del 2004 misi in piedi un apiario di dodici alveari sei in arnie con distanziatori a SpazioMuussi © e sei in arnie tradizionali a spazio Dadant, paragonabili per numero di api e di favi di covata.
La conta settimanale delle varroe cadute naturalmente, in tutti gli alveari, durante la primavera e l’estate, l’assenza totale di danni alle api, la nascita di fuchi perfetti, la produttività invariata ed il risultato dopo un trattamento chemioterapico in autunno, hanno dimostrato in modo convincente l’efficienza dello SpazioMussi © nel controllo della varroa; nella primavera successiva (2005), tutti gli alveari sono stati travasati in arnie con distanziatori a SpazioMussi ©  questa data coincide con la fine di qualsiasi trattamento chemioterapico antivarroa; in tutti gli alveari è presente la varroa ma, ad un livello di infestazione così basso che non produce alcun effetto negativo sulla vita e sul rendimento degli alveari. La varroa è diventata invisibile ed innocua.
Questa esperienza è stata condivisa, con gli stessi risultati, da decine di apicoltori sia in provincia di Trapani, dove opero, che nel resto d’Italia.
Sorge spontanea una domanda: perché lo SpazioMussi © non si è diffuso come meriterebbe un tale metodo che abbassa i costi di manodopera, annulla i costi per chemioterapici e non inquina gli alveari e i prodotti ?
Non è facile rispondere a questa domanda però è naturale porsi altre domande :
-    Quanti sono gli apicoltori disposti ad abbandonare le vecchie abitudini e rimettersi in gioco?
-    Perché nessun ricercatore ha provato a chiarire il meccanismo con cui le api controllano la varroa in arnie a SpazuioMussi © mentre le stesse api non ne sono capaci in arnie a spazio Dadant ?
-    Perché nello stesso autunno del 2003 si è aperto un fuoco di sbarramento  contro il metodo da parte dei soliti detrattori che hanno parlato senza avere avuto il tempo indispensabile, almeno un anno,  per fare delle prove ?
Un aneddoto storico potrebbe ispirarci nella ricerca delle risposte.
Quando, tra la fine del 1800 e L’INIZIO DEL 1900, si diffuse l’uso della bicicletta prodotta industrialmente, che fu perfino adottata da alcuni reparti dei bersaglieri, nacquero tante discussioni tra coloro che furono favorevoli all’innovazione e quelli contrari; è famosa una domanda che un cronista dell’epoca si pose pubblicamente : ”la folle velocità che si raggiunge con la bicicletta non sarà nociva alla salute, visto che il corpo umano è strutturato per la velocità che si può raggiungere in una corsa a piedi ? “
Se fosse stato convincente non avremmo avuto un Bartali, un Coppi, un Merckx, un Gimondi, ecc, ; in sintesi non avremmo avuto il ciclismo.
In pratica: la maestra dell’arte è la prova.
Non fatevi incantare dalle chiacchiere.

4 commenti:

  1. Mi hai convinto. Potresti cortesemente dire qualche cosa di piu` specifico su questo metodo? Grazie.

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  2. Il metodo va applicato in primavera quando iniziano ad essere attive le api ceraiole, occorre sostituire i distanziatori Dadant ( standard ) con quelli a SpazioMussi, riducendo il numero di favi di circa il 30%; trovi i dettagli sul portale www.federapi.biz nel menù -tecniche-

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  3. Credo di aver capito, grazie. Anche se non mi e` ancora chiaro come mai uno spazio piu` grande faciliti la lotta alla varroa. Ho il sospetto che in quella riduzione del 30% vada ricercata la poca popolarita` di questo metodo.

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  4. Nessuno conosce ad oggi il meccanismo del metodo ma, la cosa più grave è che, chi ha le strutture, i mezzi ed il personale non ha effettuato una seria ricerca limitandosi ad una indagine di impostazione puerile condotta in modo frettoloso. Di contro abbiamo che centinaia di apicoltori applicano fruttuosamente il metodo.
    Dobbiamo credere all'evidenza pratica o alle chiacchiere ?

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