Perché dobbiamo metterci alla prova
L’infinitamente piccolo e l’infinitamente grande che convivono nell’universo sono regolati tutti dalle stesse leggi fondamentali, la legge di conservazione della massa, la legge di conservazione dell’energia, l’entropia.
Mentre le prime due mantengono costante nella totalità dell’universo il patrimonio di massa e di energia la terza rappresenta, il rischio, l’innovazione, la trasgressione, la creatività; tutte operazioni che l’universo mette in campo per assicurarsi un’esistenza futura. In termini puramente statistici è molto probabile che l’ossigeno che in questo momento stiamo utilizzando per respirare sia lo stesso identico di quello respirato almeno una volta nella sua vita da Giulio Cesare, e prima di lui da un australopiteco e prima di lui da un dinosauro e prima di lui da…… in un circolo infinito che mantiene costante la quantità di materia circolante nell’universo.
E cosi per l’energia, i bolidi di formla1 che schizzano come fulmini per il nostro diletto stanno usando un’energia che prima era una minuscola massa chiamata elettrone che si è trasformata in luce all’interno del sole che è diventata pianta sulla terra, che si è trasformata in animale il cui cadavere è diventato combustibile che , tramite il motore, è diventato velocità. Potendo fare tutte le somme comprese le inevitabili dispersioni sotto forma di calore troviamo esattamente la stessa quantità di energia iniziale. Cosa diversa è l’entropia, la molla che mette in moto tutte le trasformazioni che avvengono nell’universo.
Ciascuno di noi ci tiene ad avere dei discendenti ebbene, anche se non ce ne rendiamo conto, siamo un’applicazione dell’entropia.
Ma che cosa è l’entropia, è la polizza assicurativa per un’esistenza futura quale che essa sia e vale per un sasso, destinato a vivere per milioni di anni, come per una zanzara che vive, se le va bene, per qualche mese.
Se consideriamo dei gessetti in una scatola completamente piena è facile constatare che c’è una sola possibilità nella disposizione dei gessetti, tutti dritti attaccati l’uno all’altro; se adesso consideriamo la stessa scatola con la metà dei gessetti, questi li possiamo disporre in molti modi senza modificare il totale del contenuto cioè una scatola semi vuota può presentarsi con diversi aspetti ognuno dei quali corrisponde ad una diversa posizione dei gessetti allora, estrapolando il concetto, possiamo affermare che una scatola piena ha una sola possibilità di esistere mentre una scatola semi vuota ha molte più possibilità di esistere o se volete di rappresentarsi.
Ebbene la scatola con meno gessetti ha il maggior grado di entropia in quanto i gessetti hanno un maggiore grado di libertà pur continuando a mantenere la loro identità.
Possiamo quindi anche pensare all’entropia come alla misura del disordine inteso non come confusione ma come distribuzione nel tempo e nello spazio degli elementi di un sistema inizialmente rigidamente ordinato.
Non vi ricorda l’espansione spontanea dell’universo?
Il traffico di Roma o di Milano?
Il volo delle rondini a primavera?
La sciamatura delle vostre api?
E perché tutto questo avviene?
Perché crescendo la distribuzione nel tempo e nello spazio si accresce la probabilità o, se volete, la possibilità di esistenza presente e futura.
Allora le affermazioni sciocche : - la vita è per la vita, - il presente è l’antipasto del futuro, adesso, magari, non sembrano più tanto sciocche.
Evoluzione, sperimentazione, creatività, procreazione tutte manifestazioni dell’entropia che silenziosamente e pervicacemente agisce in continuo all’insaputa di tutti e di tutto.
Allora noi, formichine ribelli in quanto intelligenti e consapevoli, in un universo inconsapevole, ci possiamo arrogare il diritto di sovvertire l’ordine delle cose?
Ciascuno se la veda con il suo coraggio.
Tutti quelli che blaterano senza fare, che criticano senza proporre, non possono avere un futuro è l’entropia universale che lo decide.
2
Simmetria non è perfezione
La cultura occidentale, spinta dalle esigenze del mercato di massa, ha puntato decisamente sulla divulgazione e sull’affermazione di un concetto, assolutamente innaturale, fondato sul binomio uniformità-perfezione un concetto che intuitivamente tutti trasponiamo in uniformità-bontà o uniformità-qualità.
L’assoluta trasversalità di questa affermazione binomiale la possiamo constatare quotidianamente nei prodotti che l‘industria ci propone, in ogni campo, dall’alimentazione all’abbigliamento, dai mezzi di trasporto all’arredo domestico, non si fa altro che rimarcare l’omogeneità del prodotto.
Ora, se questa omogeneità ha un intrinseco valore per la produzione industriale in serie, mal si adatta alle produzioni naturali, in milioni di anni la vita, in tutte le sue manifestazioni, ha sperimentato che il fattore di successo non è l’omologazione ma la diversità; non dobbiamo però confondere diversità con asimmetria perché, mentre la diversità è una proprietà di una classe di individui della stessa specie, la simmetria o asimmetria è una caratteristica del singolo individuo.
Il passaggio dalla produzione artigianale a quella industriale, un procedimento iniziato nell’era moderna verso la fine del 1700, ha dei magnifici esempi nelle civiltà più antiche principalmente nel campo militare; la capacità di replicare in grande numero un modello collaudato di armamento, ha rappresentato il fattore di successo degli eserciti dell’antichità, per altro non dimentichiamo la produzione in serie di ornamenti e fregi per l’edilizia già ai tempi degli Etruschi o la produzione massiva di contenitori per prodotti alimentari solidi e liquidi come anfore, orci, ecc. presente in tutte le civiltà del passato.
Il processo di industrializzazione delle produzioni è avanzato di pari passo con la progressiva eliminazione dei difetti di lavorazione che si traduce in una maggiore economicità del ciclo produttivo per la diminuzione degli scarti e delle contestazioni.
Il perfezionamento del processo produttivo ha comportato il ricorso da un lato all’omologazione di standard tipologici di prodotti e dall’altro ad una sempre maggiore automatizzazione delle lavorazioni, minimizzando l’errore umano nelle operazioni produttive.
Che c’entra tutto questo con l’apicoltura ?
Il successo dell’omologazione e standardizzazione in campo industriale, meglio noto come “la rivoluzione industriale “ ha creato in primis un clima di euforico entusiasmo e successivamente un abitus mentale secondo il quale, ogni procedimento produttivo necessita di un modello standard omologato.
Nessuna attività umana si è potuta sottrarre a questo dettame, perfino l’arte figurativa.
La scoperta del passo d’ape, l’adozione del favo mobile la conseguente produzione in serie di arnie standard sono la risposta apistica al criterio di omologazione.
Non ci sono dubbi sui vantaggi produttivi derivati da questa scelta ma, non ci siamo preoccupati, più di tanto, di sapere se le api fossero d’accordo.
Tra la fine del 1800 e l’inizio del 1900 ci fu un grande dibattito internazionale riguardo alla costruzione delle arnie, forme, dimensioni, spessori distanze interfavo, ci si interessò anche del benessere delle api sempre però nell’ottica dell’efficienza produttiva, abbiamo cioè visto le api più come uno strumento, una macchia, piuttosto che come un essere vivente.
La regolarità con cui le api costruiscono il modulo strutturale del favo, l’esagono, l’abbiamo interpretata come esigenza fondamentale di simmetria che associata alla utilitaristica mobilità dei favi ha finito con il creare, nell’immaginario collettivo, il binomio simmetria-produttività.
C’è un piccolo particolare, il concetto umano di simmetria non corrisponde a quello delle api.
Per le api la simmetria o la geometria è funzionale allo spazio disponibile inteso come volume, forma e direzione, la combinazione di questi tre fattori determina la costruzione dei favi la cui forma, dimensione e disposizione non è soltanto finalizzata al riempimento dello spazio disponibile ma deve in ogni caso soddisfare all’esigenza di vivibilità, cioè alla possibilità di condizionamento dell’atmosfera circolante nell’alveare.
Le soluzioni sono pressoché infinite, ogni alveare, potendo, si esprime liberamente erigendo delle costruzioni funzionali ed architettonicamente affascinanti.
Tutte le volte che mi capita di vedere delle foto di alveari “razionali” in cui i traversi superiori dei telaini non hanno un minimo accenno di costruzione di celle e neanche un ponticello tra di loro, mi chiedo, vi abitano api o robot ?
Con questo non si vuole assolutamente negare l’utilità del favo mobile del foglio cereo ecc. ecc. ma nemmeno si può essere prigionieri di una perfezione tanto maniacale quanto innaturale e forse del tutto inutile.
Da dove viene questa “perfezione” ?
Viene dalla pressione selettiva a cui è stata sottoposta da circa cento cinquanta anni l’ape e in particolare l’ape ligustica.
La selezione è lo strumento principe di miglioramento genetico se n’è accorto, storicamente per primo, Pirro re dell’Epiro il quale, volendo accrescere la sua potenza militare aveva bisogno di più soldati e quindi di maggiore disponibilità alimentare; per cui iniziò a migliorare il rendimento dei suoi allevamenti selezionando quegli animali che producevano più carne, latte, ecc.
Questo esempio storico ci indica chiaramente che la selezione persegue degli obbiettivi che prescindono dalle esigenze della natura.
Mentre questo può andare bene per quelle specie che dipendono in tutto e per tutto dall’accudimento quotidiano dell’uomo, non necessariamente va bene per le api, cosiddette domestiche, che in larga misura sono, quotidianamente da sole nei confronti dell’ambiente, delle avversità climatiche, dei nemici naturali.
Se è vero che è il comportamento riproduttivo a presentare la massima ereditabilità, è altrettanto vero che la pressione selettiva può lasciare per strada tutta una serie di caratteristiche comportamentali che globalmente fanno parte della rusticità di una specie.
Allora le domande che ci dovremmo porre sono :
Abbiamo esagerato nella pressione selettiva?
Abbiamo perseguito obbiettivi contrari alle esigenze naturali delle api ?
Il dibattito è aperto.
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