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In questa pagina pubblicherò degli scritti datati che hanno un valore storico-testimoniale
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APE SICULA: SI APRE UNO SPIRAGLIO SUL SUO FUTURO
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Abbiamo
assistito e partecipato alla celebrazione di un rito di apparente ordinaria
amministrazione, la presentazione di un progetto.
Dobbiamo
ricordarci di questa data, 14 gennaio 2012, che ha visto riuniti apicoltori,
convenuti da ogni parte della Sicilia, con le più diverse motivazioni ed
atteggiamenti di curiosità, interesse, speranza, avversione.
Il
progetto di salvaguardia, selezione e diffusione dell’ape Sicula finanziato
dalla Regione Sicilia, ha fatto emergere le due anime della Sicilia
Apistica che, con un dibattito dai toni
accesi, si sono confrontate non tanto sul piano tecnico o scientifico ma
piuttosto sul piano dell’interesse economico.
Il
dibattito, al di la della volontà dei partecipanti, è servito a fare emergere
chiaramente un fatto di fondamentale importanza che è sotto gli occhi di tutti,
“è il connubio ape-clima-territorio che detta le regole del gioco”
l’qpicoltore, che si pone come il fruitore, è in effetti, da questo punto di vista,
soltanto un fattore di disturbo.
La
selezione naturale che agisce costantemente in tempi inimmaginabili di migliaia
e, in qualche caso, di milioni di anni, ha lavorato per rendere compatibili
l’ambiente e l’ape in un equilibrio instabile perché in continua lenta
evoluzione. L’apicoltore, spesso con un atteggiamento ridicolmente inadeguato
da Padre Eterno, ha lavorato molto per sovvertire l’ordine delle cose.
Il
dibattito seguito all’esposizione del progetto ha affermato un principio, il
rispetto della bio diversità si traduce in una opportunità economica per chi si
sa inserire con intelligenza nell’equilibrio naturale creando una nuova
alleanza
ape-clima-territorio-apicoltore.
La
Sicilia climatica ha due aspetti fondamentali, quello della Sicilia Sud-Occidentale
più vicino al clima Nord-Africano e quello della Sicilia Nord-Orientale più
simile al clima delle regioni meridionali italiane, in questi due territori si
esprimono al meglio i due differenti tipi di api.
Mai
si è visto, a memoria d’uomo, un apicoltore della Sicilia Orientale transumare
con le sue api nella Sicilia Occidentale e neanche il contrario.
Ciascuno
di noi, contadino, professionista o ciabattino che sia, preferisce operare in
un contesto che conosce, in cui si muove con più sicurezza, a questa regola non
sfugge l’apicoltore e anche da qui nasce la diversa scelta tra le api più
adatte all’ambiente che conosciamo e che, fortunatamente per noi, esistono
l’Ape Sicula e l’Ape Ligustica. Fare la
storia di come l’Ape Ligustica sia arrivata in Sicilia va al di la degli scopi
di questo scritto, si può dire semplicemente che ci sono state nel secolo
scorso diverse occasioni, determinate anche da motivazioni economiche, che ne hanno favorito l’importazione.
Ora,
chi pensa che il progetto di selezione e salvaguardia dell’Ape Sicula possa in
qualche modo interferire o addirittura danneggiare l’apicoltura dell’isola,
mostra di non avere consapevolezza delle motivazioni delle sue scelte di lavoro
e di vita.
Dal
convegno è emerso chiaramente che non ci sono motivi di preoccupazione e di
contrasto, la conformazione dell’isola e le conseguenti attuali scelte
professionali degli apicoltori sono la migliore garanzia per uno sviluppo
parallelo ed indipendente dell’apicoltura nelle sue grandi aree, Orientale ed
Occidentale.
gennaio 2012
Vincenzo Stampa
ESPERIENZE
DI LOTTA BIOLOGICA E INTEGRATA IN APICOLTURA
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il racconto di una lunga storia che ancora non è finita
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Quando
nel 1979 avemmo, in Veneto, notizia dell'imminente arrivo della varroa in
Italia, in effetti in Toscana ve ne era già una massiccia presenza tant'è che
l'associazione di Verona organizzò una spedizione conoscitiva in Toscana per vedere
"de visu" questo nuovo parassita; ne riportammo anche dei campioni
da mostrare agli apicoltori associati. Successivamente si scoprì che il
parassita era presente in quasi tutto il territorio nazionale con una
distribuzione che fu definita a macchia di leopardo.
Contemporaneamente,
il "tam tam" tra apicoltori ci portava notizie sconfortanti,
provenienti dai paesi dell'Est Europeo, riguardo ai metodi di lotta,
inizialmente condotti con acaricidi mutuati da prodotti per l'agricoltura o la
zootecnia, e riguardo alla difficoltà di contenere sia l'infestazione che la
reinfestazione. Nei primi anni ottanta, migliorando la conoscenza sulla
biologia della varroa, si assiste ai primi tentativi di lotta, che adesso
possiamo definire, "bio-meccanica" con l'uso delle arnie a fondo di
rete, accorgimento adottato per la prima volta su larga scala in Friuli, l'uso
del foglio cereo a celle maschili prodotto da un'unica ditta nel Veneto, il
confinamento della regina per un blocco di covata e successivo trattamento
ideato dal prof. Bozzi.
Il primo punto di forza di ogni metodo di lotta biologica o integrata alla varroa è la diagnosi del grado di infestazione
dell'alveare, in base al risultato della diagnosi l'apicoltore decide il
momento ed il metodo migliore per intervenire.
La
diagnosi con un prodotto acaricida ha dei grossi limiti applicativi, in
particolare non può essere utilizzato in periodi di raccolto o immediatamente
precedenti senza correre il rischio di inquinamento del miele e comporta il
rischio di insorgenza di generazioni di varroa resistenti. Sono stati ideati
metodi sia fisici, prelievo di campioni, che statistici tra questi ultimi assume
particolare importanza il metodo dell'ing. Pasquale Angrisani semplice, non
invasivo e affidabile. Il metodo, applicabile in qualsiasi stagione, consiste
nel: contare le varroe cadute spontaneamente per un certo periodo, con cadenze
di cinque giorni, riportare i valori su un diagramma predisposto dell'ing.
Angrisani e da questo ricavare il numero di varroe totali presenti
nell'alveare. Il metodo è in grado di produrre una previsione affidabile al
90%.
Il secondo ma determinate punto di forza è la programmazione di una lotta territoriale, gli apicoltori si devono convincere che il fai da te non funziona, è sotto gli occhi di tutti il disastro attuale. Concordare e unificare tempi e metodi ha l'effettao positivo di abbassare il grado di infestazione su tutto il territorio e questo impedisce le continue reinfestazioni.
Telaino Campero
La
nascita della lotta bio-meccanica alla varroa ha una data precisa il 1990,
quando viene pubblicato, per i tipi della FAI, il lavoro dell'apicoltore
Michele Campero " Lotta Biomeccanica alla Varroa " che rappresenta la
vera svolta tecnica e culturale sulla lotta alla varroa. Il metodo consiste
nell'uso di un telaino modificato che l'autore definisce correttamente TIT3
(telaino indicatore trappola) ribattezzato dagli apicoltori in telaino a tre
settori o semplicemente T3. Il metodo, efficacissimo nel controllo della
varroa, fu largamente e stupidamente osteggiato e perfino deriso dai soliti
"soloni" che probabilmente non capiscono molto di apicoltura e
tentano di nascondere la loro ignoranza osteggiando per principio qualsiasi
innovazione.
Il telaino a tre settori mostra tutta la sua importanza in primis
come diagnostico sullo stato dell'alveare, infatti, l'apicoltore che sa leggere
quanto le api scrivono sul telaino, ha il vantaggio di sapere subito e con
precisione quali sono le necessità dell'alveare e può agire di conseguenza
seduta stante, è innegabile il vantaggio di velocizzare le visite agli apiari.
A titolo semplificativo ecco un breve casistica che si può verificare ad una
settimana dall'introduzione del tre settori:
-
piccole costruzioni di colore scuro, di cera riciclata, indicano che l'alveare
ha una popolazione squilibrata ma ha bisogno di spazio per la covata, si può
introdurre un favo costruito
-
piccole costruzioni di cera bianca ma a celle femminili, l'alveare ha bisogno
di uno o più fogli cerei
-
costruzioni bianche a favi maschili, l'alveare è in equilibrio e l'apicoltore
agirà in base alla situazione generale
-
presenza di miele nella zona alta dei favetti a celle maschili costruiti nei
settori, occorre subito il melario
-
accenni di cupolini nei bordi delle costruzioni maschili, l'alveare progetta
una futura sciamatura.
L'osservazione
e l'esperienza permetteranno all'apicoltore di cogliere un grande numero di
altri piccoli segnali in base ai quali deciderà, a colpo d'occhio, quale potrà
essere la migliore azione da compiere al momento stesso della visita o in una visita successiva.
In conclusione il telaino a tre settori di Michele Campero, oltre a
permettere un controllo della varroa con l'asportazione fisica del parassita
prigioniero nella covata maschile opercolata, semplifica e velocizza di molto
le visite in apiario.
La
periodicità dell'asportazione della covata maschile percolata ha una certa
elasticità da sette a dodici giorni per cui anche in periodo di tempo
variabile, come è la primavera, si ha un ampio margine di intervento. Questa
continua asportazione di materiale biologico non comporta danni all'economia
dell'alveare come è facile capire da alcune banali considerazioni.
In
primo luogo la continua asportazione di cera non disturba minimamente
l'alveare, infatti la produzione di cera è uno stato fisiologico dell'ape, le
cellule ceripare entrano in funzione in modo autonomo e del tutto involontario
quando l'ape raggiunge la giusta età e se le scaglie di cera non sono
utilizzate, vanno sprecate cadendo sul fondo dell'arnia. In secondo luogo
l'allevamento della covata maschile ha un costo in pappa reale, miele e polline
ma, quanto è questo costo?
In
un alveare con otto favi di covata la porzione di un terzo di favo rappresenta
un ventiquattresimo della covata totale cioè in percentuale il 4% del costo
totale di allevamento ma, il sovraccarico è di molto inferiore se consideriamo
che comunque l'alveare avrebbe prodotto spontaneamente un intero favo di covata
maschile, che risulta fisiologicamente necessario all'organismo alveare e con
un ciclo di ventiquattro giorni; con l'asportazione settimanale del settore si
è soltanto accorciato il ciclo di tre giorni, un'inezia, tant'è che
l'esperienza durata tredici anni dimostra che gli alveari non ne risentono
minimamente.
Il
metodo è supportato da un unico trattamento autunnale con una soluzione di acido
ossalico al 2,3% dolcificato e spruzzato sulle api.
Questo
metodo è stato applicato su larga scala in provincia di Trapani a partire dal
1991, con grande soddisfazione di tutti.
Blocco di covata
Il
blocco di covata, preconizzato dal prof Raffaele Bozzi, ha avuto un sua
autonoma evoluzione partendo da un intero favo fornito di escludi regina e
approdando all'uso di una semplice gabbietta in cui imprigionare la regina per
un tempo necessario a fare schiudere tutta la covata presente nell'alveare.
Siamo nel campo della lotta integrata, il blocco di covata porta allo scoperto
tutta la varroa presente nell'alveare, un successivo trattamento con acaricida
abbatte l'infestazione in percentuale variabile che dipende da tanti fattori
tra cui, condizioni climatiche, tipo di acaricida, metodo di somministrazione.
E' giusto sottolineare che il notevole costo biologico dell'operazione non può
essere sprecato utilizzando acaricidi di sintesi chimica, è più corretto e
consigliabile l'uso di prodotti ammessi dai regolamenti dell'apicoltura
biologica.
Quale
costo biologico?
Il
blocco di covata porta inevitabilmente ad un calo brusco della popolazione che
si verificherà in un intervallo di tempo
compreso tra i quarantacinque e i sessantacinque giorni dall'inizio del
blocco di covata. Poiché il blocco di covata si pratica prevalentemente dopo
l'ultimo raccolto, l'apicoltore deve tenere ben presente questa realtà per non
correre il rischio di fare arrivare all'inverno l'alveare con una popolazione di api vecchie e in numero insufficiente.
Lo Spazio Mussi
L'anno
2003, in riferimento alla lotta alla varroa, lo possiamo definire l'anno della
rivoluzione copernicana. Anche se ancora oggi a distanza di otto anni molti
rimangono inoperosamente increduli, bisogna ammettere che il metodo
assolutamente biologico di controllo della varroa ideato e messo a punto
dall'apicoltore Francesco Mussi semplicemente funziona.
La
Sicilia è stata un grande laboratorio sperimentale a cielo aperto in cui si
sono saggiate le risposte, al metodo SpazioMussi, di diverse qualità di api
dalla ligustica alla sicula e a tutti gli ibridi, più o meno incontrollati, tra
queste razze presenti nel territorio.
La
sperimentazione ha avuto inizio nella primavera del 2004 mettendo a confronto
due gruppi di sei alveari uno a Spazio Dadant e l'altro a Spazio Mussi.
Registrando settimanalmente le cadute spontanee, con il vecchio metodo del
cassettino di fondo spalmato di olio di vaselina, nei due gruppi di alveari, le
cadute "spontanee", sono state misurate per due mesi di seguito, negli alveari a SpazioMussi sono risultate
cinque volte superiori rispetto a quelle registrate negli alveari a Spazio
Dadant.
Gli alveari a Spazio Mussi hanno prodotto normalmente completando senza intoppi il
ciclo annuale.
La primavera successiva
(anno 2005), sono stati adattati, con i nuovi distanziatori SpazioMussi, circa duecento
alveari che non hanno avuto bisogno di altri ulteriori trattamenti ed hanno
prodotto normalmente. Il terzo anno (2006) tutti gli alveari dell'azienda,
circa quattrocentocinquanta, sono stati dotati di distanziatori SpazioMussi e
da allora ci siamo completamente dimenticati della varroa.
Siamo
tornati a fare gli apicoltori, con i ritmi dettati dalle necessità delle api e
dall'andamento delle fioriture, niente più telaini a tre settori, pastrocci
chimici a base di ossalico e sciroppi vari; liberi dalla schiavitù della
varroa.
Nel
2007, forti della nostra esperienza, ci è sembrato giusto fare partecipi del
metodo tutti gli apicoltori della provincia di Trapani, la sperimentazione si è
allargata notevolmente con gli stessi risultati.
Perché
il metodo non decolla?
Se
dobbiamo fare riferimento a quanto è stato pubblicato, a suo tempo, nelle varie
riviste del settore e su alcuni siti pubblici e personali, che tutti possono
consultare, non si può non sottolineare l'estrema superficialità ed
incompetenza con cui sono state condotte le cosiddette prove di verifica, è
evidente, da quello che si legge, che lo scopo non è stato quello di verificare
la bontà o meno del metodo ma di negarne ad ogni costo la validità.
Non voglio
addentrarmi nei meandri oscuri di certi cervelli, perché non è questo il luogo
adatto, ma alcune considerazioni a latere vanno fatte partendo dalle più comuni
obiezioni:
1)
Come fanno le api a liberarsi dalla varroa?
A
parte il fatto che questo è un problema che le api hanno risolto
brillantemente, la maggior parte di noi abbiamo usato in passato, e tanti
ancora adesso, prodotti anti varroa quali timolo, acidi organici di varia natura, ecc.
accettando supinamente il fatto che funzionano contro la varroa e senza che
nessuno abbia mai chiesto e nessun altro abbia mai chiarito il meccanismo secondo il quale funzionano; perché
tanta meticolosità con lo SpazioMussi?
2)
Quante varroe ci sono in un alveare a SpazioMussi?
Ce
ne sono tante quanto basta ad assicurare la sopravvivenza della varroa e del
suo ospite l'ape. La natura non ama gli ostracismi ma la pluralità.
3)
Che influenza ha lo SpazioMussi sulla sciamatura?
Nessuna;
le api continuano a fare semplicemente quello che devono fare secondo il loro
programma biologico.
4)
Come si comportano gli alveari rispetto alle varie patologie?
Sono
semplicemente sparite tutte le patologie veicolate dalla varroa.
5)
Lo SpazioMussi influenza il livello produttivo?
Assolutamente
no, l'unico inconveniente è che gli alveari, il primo anno, sono in ritardo di
circa una settimana rispetto alla fioritura ma, sapendolo, si può rimediare in
anticipo con un'alimentazione stimolante. Negli anni successivi al primo tutto
rientra nella normalità
6) I
bordi superiori dei favi negli alveari a spazio mussi sono ingrossati, questo
crea delle difficoltà nella conduzione?
L'apicoltore
attento impara a fare in modo che i favi vengano ingrossati tutti allo stesso
modo, i due favi estremi a destra e a sinistra rimangono più sottili, è vero,
ma essendo normalmente pieni di scorte possono anche rimanere dove sono o
utilizzati per rifornire alveari bisognosi di alimento.
7)
Lo SpazioMussi induce le api ad accumulare più scorte nel nido.
E'
Vero.
Questo non va a discapito della produzione, nel momento del grande
raccolto ce n'è tanto per tutti ed anche troppo, rispetto alla capacità di
raccolta delle api. Maggiori scorte significa inverni più sicuri e ripartente
più rapide.
8)
In Sicilia lo SpazioMussi funziona perché, probabilmente, ci sono delle api
diverse e delle particolari condizioni ambientali.
Non
è vero niente, non inventiamoci delle favole giusto per dire qualcosa.
Francesco
Mussi, l'ideatore del metodo, non abita in Sicilia ma in Toscana; le sue api
sono ligustiche ne più e ne nemo di tante altre in tutta Italia; in Sicilia
non abbiamo soltanto api sicule ma, grazie alla imprevidenza di alcuni, abbiamo
di tutto e di più senza pregiudizio per lo SpazioMussi.
Mi
compiaccio di riportare una testimonianza di un visitatore non siciliano del sito della FAI
:<< ho partecipato ad un corso di apicoltura, giunti alla lotta alla
varroa ci sono stati spiegati con dovizia di particolari alcuni metodi chimici
e arrivati alla Spazio Mussi, in cinque minuti ci è stato detto che cosa è e
che non funziona. Finito il corso l'ho provato e funziona.>>
Dopo
avere sperimentato, come tutti, di tutto contro la varroa, avere letto tanto di quello che c'è da leggere, ascoltato
il parere di migliaia di apicoltori, mi sono fatto un'opinione del perché i
metodi di cui ho parlato in questa relazione non hanno avuto la diffusione che
meritano.
Mi
sono convinto che, in generale, l'apicoltore fa fatica ad accettare di inserirsi in un piano di lotta territoriale e a dismettere il suo
abito mentale, anche se ridotto ad uno straccio, per affrontare nuove sfide ed
esperienze con la serenità di un bambino e l'esperienza di un vecchio.
Boves
se pareba
Alba
pratalia araba
Albo
versorio teneba
Negro
semen seminaba.
17 luglio 2011
°
°
(M.me Valérie ci scrive la ricetta del suo “ Vin de Sureau “ vino di sambuco )
°
Alcune considerazioni sullo
SPAZIOMUSSI
Quasi tutti gli alveari dei miei
apiari sono a SPAZIOMUSSI, è dalla primavera del 2004 che ho iniziato i
travasi, dapprima con un piccolo gruppo messo a confronto con un gruppo
d’uguale numero a spazio DADANT e, poi, visto gli ottimi risultati di cui ho
già riferito, con gli altri alveari man
mano che transitano dalle isole alle postazioni attorno a Trapani; ormai
rimane, per diversi motivi, soltanto
meno del 10 % di alveari da travasare.
Considerazioni sugli ecotipi in
osservazione.
Per motivi che in questa sede non
interessa approfondire, in Sicilia vi è una forte commistione tra gli ecotipi
locali (Ape Sicula) e gli ecotipi d’importazione (Ape Ligustica).
Nella zona della provincia di
Trapani questo fenomeno è meno appariscente in quanto gli apicoltori di norma
non hanno l’abitudine di importare regine feconde dall’Italia.
Non è possibile fare una
distinzione ad occhio tra le famiglie più spiccatamente Sicule e quelle più
spiccatamente Ligustiche, certo il colore aiuta molto ma, a causa
dell’ibridismo, si possono prendere
delle cantonate; d’altra parte le analisi biometriche non sono facili da
ottenere.
Il problema si può risolvere in
modo accettabile dall’osservazione del comportamento delle famiglie rispetto a:
1)
Reazione alle condizioni ambientali,
2) comportamento riproduttivo,
3) Colore delle api operaie e dei fuchi
1) Da questa parte della Sicilia, provincia di Trapani, abbiamo due
periodi critici per gli alveari, l’estate Luglio-Settembre e l’inverno Dicembre-Febbraio.
In particolare durante l’estate
il forte calore e la mancanza di raccolto determinano delle condizioni
drastiche per gli alveari, più ancora che in inverno.
In questo particolare frangente
il comportamento delle api Sicule e di quelle Ligustiche è completamente
opposto, infatti, l’aumento della temperatura ed il contemporaneo forte calo o
arresto dell’importazione induce la Sicula a ridurre fino ad interrompere la
deposizione mentre invece la Ligustica non avverte la mancanza d’importazione e
mantiene, a causa della temperatura elevata e della durata del giorno (ore di
luce ma, questa è un’altra storia), un alto volume di covata.
La conseguenza è che le Sicule
superano bene il periodo estivo arrivando all’autunno con un calo di
popolazione ma con forti scorte utili alla ripresa autunnale, le Ligustiche
invece mantengono alto il volume di covata, esauriscono le scorte e rischiano
di morire di fame già in agosto.
2) Durante il periodo della sciamatura, gli alveari con un minore
grado d’ibridazione allevano un piccolo numero di celle reali, questo vale per
tutti gli ecotipi.
Mettendo insieme le tre cose:
colore, reazione all’ambiente, comportamento riproduttivo, si scelgono gli
alveari da cui prelevare le larve per l’allevamento delle regine.
Va da se che vengono scelte le
famiglie che più si avvicinano nel
comportamento all’ecotipo Siculo.
Tutto ciò premesso andiamo allo
SPAZIOMUSSI
Prima dell’introduzione dello
SPAZIOMUSSI, il controllo della varroa si attuava seguendo il seguente
protocollo (tutti gli apicoltori della provincia di Trapani):
Autunno
Agli inizi di settembre,
quando gli alveari sono al minimo di
covata o addirittura in blocco, si esegue un trattamento con una soluzione
d’acido ossalico al 2,5% addizionata di zucchero (saccarosio) in ragione del
10% p/v; il trattamento è eseguito
spruzzando la soluzione d’acido ossalico finemente nebulizzata sulle api di una
singola facciata d’ogni favo.
Si ripete tre volte il
trattamento con cadenza di 8-10 gg circa.
Primavera
Non appena le famiglie iniziano a
costruire celle maschili, dalle mie parti ciò avviene verso la fine della
fioritura del mandorlo, s’introduce il telaino CAMPERO (a tre settori) nella posizione tra la covata
e le scorte dando inizio all’intrappolamento della varroa che procede, seguendo
il metodo Campero, fino all’asportazione del primo melario pieno, con le
ligustiche si può andare anche oltre perché continuano a deporre maschile anche
molto tempo dopo il periodo tipico della sciamatura.
In autunno si ricomincia il ciclo.
L’ultimo trattamento massivo con
acido ossalico nei miei apiari risale all’autunno del 2003, da allora ho
travasato e passato a SPAZIOMUSSI, centinaia d’alveari che godono d’ottima
salute e producono regolarmente come se nulla fosse, di varroa nemmeno l’ombra!
Sarebbe più corretto dire
<< degli effetti della varroa nemmeno l’ombra !!! >> perché la
Varroa, quella, c’è sempre, soltanto che
è diventata un innocuo animaletto da compagnia a livello del cane, del gatto o
del canarino.
Naturalmente la prudenza e la
particolare situazione logistica (transumanza nelle isole) mi hanno portato a
procedere con gradualità così che per tre primavere hanno convissuto negli
stessi apiari alveari a spazio Dadant, sempre meno, ed alveari a SPAZIOMUSSI.
La prima cosa che abbiamo notato,
io, i miei collaboratori e gli altri apicoltori è che non si lavora più, il
lavoro è diminuito talmente che non sembra neanche un lavoro.
I pro e i contro.
Negli alveari a SPAZIOMUSSI:
1)
Non ci preoccupiamo più del controllo della
covata maschile, lasciamo che gli alveari si esprimano liberamente e ciò
nonostante è quasi impossibile trovare fuchi con evidenti danni da varroa
(deformità di vario genere); disopercolando ad arte la covata maschile presente
negli alveari, raramente s’incontra qualche varroa.
2)
I distanziatori SPAZIOMUSSI prevedono nove favi
di cui i due esterni distanziati a spazio Dadant, ebbene, pur avendo eliminato
questi favi esterni sostituendoli con due diaframmi mobili, gli alveari ridotti
a sette favi Mussi si sono comportati in modo perfettamente identico a quelli a
dieci favi Dadant, anche dal punto di vista produttivo.
3)
Si è azzerata l’incidenza di quelle strane
patologie, molto difficili da contrastare, causate e diffuse dalla varroa.
4)
In conseguenza dell’accresciuta distanza
interfavo le visite sono molto rapide, potendo facilmente sollevare uno o due
favi di qualsiasi posizione senza toccare i rimanenti.
5)
Normalmente, sulla coda del raccolto le api
tendono ad accumulare scorte nel nido, negli alveari a dieci favi Dadant si
hanno mediamente quattro favi di scorte (i famosi lardoni del prof. Bozzi) posizionati in vario modo secondo la
posizione e l’ampiezza della porticina di volo; negli alveari a SPAZIOMUSSI i lardoni sono soltanto i due favi esterni
essendoci più scorte nella corona di miele sopra la covata e dovendo riservare
lo spazio per la covata.
6)
Per quanto riguarda la sciamatura, niente di
particolare da segnalare.
Per contro
L’accresciuto spazio interfavo
richiede la presenza di una maggiore quantità d’api per mantenere l’equilibrio
termico, in conseguenza si devono modificare i criteri di conduzione in
particolare:
1)
Il travaso da un’arnia o un porta sciami a
spazio Dadant in un’arnia a SPAZIOMUSSI, deve essere effettuato quando le
ceraiole sono attive per permettere facilmente l’accrescimento del bordo
superiore dei favi.
2)
Effettuato il travaso, occorre stringere lo
spazio a disposizione delle api di
almeno un favo, utilizzando il diaframma mobile. Le api serviranno a riempire
l’accresciuto spazio interfavo.
3)
La posa dei melari si deve eseguire soltanto
dopo che tutti i favi del nido sono completamente coperti dalle api (usando
come termometro la quantità d’api che staziona sulla facciata interna del
diaframma mobile) questo comporta un poco di ritardo rispetto agli alveari a
spazio Dadant. L’equivalenza imbiancatura = posa dei melari non vale più con
questa immediatezza, ci si deve aspettare almeno una settimana di ritardo.
Sapendolo ci si organizza incominciando a spingere
gli alveari con un poco d’anticipo.
4)
Le regine poco efficienti non riescono a
mantenere una popolazione abbastanza numerosa da condizionare l’ambiente
alveare. In effetti, a causa dell’accresciuto spazio interfavo, occorre un
maggior numero d’api per assicurare il corretto condizionamento dell’alveare.
Le regine vanno osservate con molta attenzione e sostituite al primo accenno di
debolezza. In particolare è molto importante che la regina sia massimamente
efficiente in autunno, per assicurare l’abbondanza d’api giovani che devono
affrontare l’inverno.
5)
Per il rinnovo periodico dei favi, adottando la
tecnica dello scorrimento dei favi da destra verso sinistra, s’introducono i
fogli cerei in seconda posizione a partire da destra e soltanto uno per volta.
E’ più problematica l’introduzione del foglio cereo in zone più centrali
dell’alveare. In effetti, certe tecniche non si possono più adottare, ad
esempio: nell’accrescimento degli sciami nei portasciami a spazio dadant,
quando lo sciame copre completamente i primi tre favi, si può eliminare il
diaframma mobile ed introdurre due fogli cerei contemporaneamente in seconda e
quarta posizione (siamo alla fine della fioritura del mandorlo, fine febbraio)
ed in seguito ancora altri due sempre in penultima posizione a destra e a
sinistra; la mossa successiva consiste nell’introduzione di un altro foglio
cereo al centro ( siamo ad otto favi) e la contemporanea sovrapposizione del
melario. Con lo SPAZIOMUSSI questa sequenza non è più praticabile, si deve
introdurre un foglio cereo alla volta, in compenso, quando lo sciame raggiunge
la dimensione di sette favi costruiti si può dare il melario e, centrando i
favi del nido tra due diaframmi, si può lasciare l’alveare su sette favi ed
ottenere la stessa produzione di un alveare Dadant a dieci favi. Il tempo che
si è perso nell’introduzione dei fogli cerei, si recupera abbondantemente in
fase di produzione.
In conclusione
Adottando lo SPAZIOMUSSI occorre:
a)
Una maggiore attenzione nelle fasi critiche;
accrescimento primaverile ed invernamento, come dire visite più frequenti,
b)
Lesinare lo spazio da concedere allo sciame.
c)
Cambiare più frequentemente le regine.
In compenso possiamo dimenticarci
della varroa, non mi sembra proprio poco !
Volete sapere da me perché lo
SPAZIOMUSSI funziona?
Non lo so !
E’ curioso constatare che dopo
tre anni della scoperta dello SPAZIOIMUSSI nessuno sa ancora com’è che
funziona.
E’ sconcertante constatare come
dopo tre anni nessuno “scienziato” si sia cimentato con questa problematica,
almeno nessuno fin ad ora ci ha fatto sapere che ci sta provando, si vede che
mancano gli attributi.
In compenso abbiamo molti struzzi
che preferiscono ignorare il problema, vuoi mettere la tranquillità
dell’ignoranza in confronto con il tormentone del come quando e perché?
Vincenzo Stampa
novembre 2006
Le Poet en Percip
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Pranzare con deliziosi gamberoni rossi a mille metri di quota in un villaggio nel nord della Provenza, per me, rivierasco, è stata la cosa più sorprendente che mi sia capitata negli ultimi vent’anni.
Eppure M.me Valérie ce li ha preparati con distaccata maestria, accompagnandoli con fettine di cetriolo alla menta e medaglioni di melanzane fritti.
Le POET EN PERCIPE è un microscopico villaggio provenzale, contornato da monti boscosi, nella regione Baronie, nel nord della Provenza; qui, dove l’aria fina profuma di lavanda e tiglio, vivono Jean e Valérie coltivando erbe aromatiche con la passione di chi ama le cose semplici e vere della vita.
( Jean e la sua lavanda )
(campi di lavanda tra i monti della Baronie )
Siamo stati accolti in questa casa di montagna, piccola ed essenziale, con quella spontanea semplicità riservata agli amici di vecchia data, l’affettuoso benvenuto è sottolineato da una bevanda fresca e deliziosa il “ vin de sureau” (vino di sambuco) dolce e profumato, preparato in casa da M.me Valérie che graziosamente ci ha dato la ricetta per la sua preparazione( vedi box) .
Il suggerimento è di sostituire lo zucchero con un miele dal sapore delicato, per i lettori del centro-nord il miele di acacia, per quelli del centro-sud il miele di sulla.
21 settembre 2004
IN APRILE IN SICILIA
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In aprile negli apiari del Sud Italia e in quelli delle Isole in modo particolare, si parla francese: “rien ne va plus”. Ormai ci siamo: in Sicilia comincia la fioritura dell’arancio e quello che è stato è stato.
Le famiglie forti hanno già il melario da almeno quindici giorni, dove hanno costruito i nuovi telaini che erano stati aggiunti alternandoli a quelli vecchi.
Certamente ancora è possibile la lotta bio-meccanica alla varroa, si possono fare costruire fogli cerei da nido ma, quando il flusso nettarifero diventa impetuoso, la cosa migliore è dedicarsi alla gestione dei melari.
A mano a mano che i telaini del melario vengono riempiti, occorre ridistribuirli all’interno dello stesso melario per sfruttarne al massimo la capienza, si portano ai lati i telaini già pieni scambiandoli con quelli ancora vuoti o riempiti parzialmente.
Questo non significa che ci si può dimenticare dei nidi, le visite continueranno ad essere eseguite settimanalmente e saranno molto semplificate se ci abitueremo ad usare regolarmente e per tutta la primavera il telaio a tre settori; di solito è sufficiente ispezionare questo telaio, posto in penultima posizione, per capire se è il caso o meno di continuare la visita.
Se tutto è regolare avremo delle belle costruzioni maschili regolarmente deposte e la visita potrà considerarsi finita.
Se invece le costruzioni sono femminili significa che la regina non ha abbastanza spazio per deporre; un accenno di cupolini reali, invece, ci avviserà che l’alveare si predispone all’allevamento di nuove regine ecc. ecc…
Il consiglio che possiamo dare ai colleghi Apicoltori, è di allenarsi molto all’uso di questo tealino: oltre ad abbattere l’infestazione da varroa, si risparmierà molto tempo nelle visite e si capirà meglio il funzionamento dell’intero alveare.
Vincenzo Stampa
12 marzo 2001
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Validità ecologica delle api
La produzione di miele non è, né il solo aspetto dell'allevamento delle api né, contrariamente a quanto si crede, il più rilevante.
Decenni di studi condotti dalle università di tutto il mondo, hanno dimos-trato che i vantaggi che ricava l'agricoltura dal lavoro delle api è circa cento volte maggiore dei vantaggi diretti ricavati dall'apicoltore.
La presenza capillare degli alveari nel territorio ne garantisce la conser-vazione, la salubrità oltre che la produttività.
Il servizio di impollinazione svolto dalle api assicura principalmente la riproduzione e la sopravvivenza di tutte quelle specie vegetali spontanee che, soltanto con la loro presenza, garantiscono la stabilità dei suoli e quindi l'assetto idro-geologico del territorio.
Le api non sopravvivono in ambienti inquinati da agenti diversi, per questo esse sono state anche utilizzate dall'entomologo prof. Giorgio celli per il monitoraggio ambientale, infatti il loro allevamento condiziona i comportamenti umani nel senso del massimo rispetto ambientale, con indubbi vantaggi sulla vivibilità del territorio.
Infine effettuando l'impollinazione incrociata delle specie orto-frutticole e sementiere, aumentano in modo considerevole non solo la produttività dei terreni agrari ma sopratutto la qualità delle produzioni.
In sintesi l'allevamento delle api condiziona direttamente ed indirettamente la vivibilità ambientale elevandone considerevolmente lo standard qualitativo.
Mortificare l'apicoltura rappresenta un passo indietro nella salvaguardia ecologica del nostro paese.
26 novembre 1996
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FAVIGNANA: l'Isola delle Api, Utopia o realtà?
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" …. tanta fecondità delle api di Favignana, e l'esquisitezza de' loro prodotti mi sorpresero; ed a prima vista mi sembrarono esagerazioni e
dell'Isola …."
paradossi, incompatibili con le qualità apparenti e con le circostanze
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Teodoro Monticelli, Monaco Benedettino, uomo di scienza e di cultura soggiornò nella nostra Isola dal 1799 al I803,come coacto politico a seguito delle controversie avute con il Re di Napoli. Sono sue le suddette parole.
La sua presenza nell'isola non poteva non essere fruttuosa e provvidenziale, per la testimonianza storica che ci ha tramandato nella sua opera intitolata:
"IL TRATTAMENTO DELLE API IN FAVIGNANA".
Una realtà che sicuramente senza il suo intervento magistrale rischiava di rimanere sepolta e senza voce.
" …. Spinto dal desiderio di giovare ai miei simili e particolarmente agli Italiani, ho risoluto descrivere in queste memorie il metodo con cui li naturali di Favignana regolano l'industria delle-api: metodo, che particolare per molti capi, e ben diverso dai comuni praticati nel Regno di Napoli e nelle varie Provincie d'Italia, perciò merita d'esser pubblicato,tanto più che riunisce alla trasmigrazione utilissima delle api, gli sciami artificiali conosciuti in Europa, come produzione, ed invenzione di M. Schirach. mentre li Favignanesi li usavano comunemente e con sì antica pratica che conservavano i nomi latini nell'esercitarlo ... "
A questo punto è doveroso citare un altro desiderio del nostro caro Monticelli che ha intercalato nella descrizione attenta e scentifica di come i nostri antenati se la cavavano con le api.
" …. io non voglio detrarre con queste riflessioni al merito di M.Schrach; bramo solo, che si sappia, che su di uno SCOGLIO sperduto d'Italia conservasi da secoli e secoli il metodo degli sciami artificiali che si esercita da qualunque contadino con somma felicità …. "
Ce lo strappi dal profondo del cuore: Grazie da parte di noi Favignanesi che a distanza di quasi due secoli raccogliamo la tua testimonianza. di una realtà che è insieme cultura ed economia che, sopratutto, come dicevo prima, rischiava di rimanere sconosciuta.
Come tutte le attività che erano fiorenti nell'Isola, come ad esempio la produzione dei fichi d'india esportati con gli "schifazzi" ed apprezzati dai migliori palati, anche quella dell'apicoltura è rimasto un ricordo che appartiene solo al passato.
Ahime!
Lo dico a bassa voce, l'apicoltura nelle Egadi potrebbe rivivere come una moderna attività capace di dare vita ad un momento di crescita culturale e perché no, anche economico del nostro Arcipelago.
!l miele tipico isolano nasce come realtà ufficialmente nel 1992.
IL Gruppo degli apicoltori delle Egadi mira ad una crescita che in tempi brevi possa dare frutti conncreti. Consapevoli che le api per produrre lo squisito miele pure agendo da singoli individui non possono fare a meno
della collaborazione di tutti i componenti della loro colonia. E' vero che le api in questo, hanno meno problemi degli uomini, in quanto obbediscono ad un istinto che è ordinato ed intelligente, mentre per noi la collaborazione e l'unità sono sempre frutto di precise scelte personali.
Rinunciare ai capricci del proprio ego a nome dell'interesse della collettività è segno di"crescita ed di maturità.
Utopia o realtà?
Francesco Ritunno
16 maggio 1994
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GLI APICOLTORI DELLE EGADI
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Da un'antica attività, mirabilmente descritta all'inizio del 1800 da Teodoro Monticelli ad una moderna attività produttiva; nasce il gruppo degli "Apicoltori delle Egadi"
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L'Associazione Provinciale Apicoltori " La Regina " opera da circa quattro anni in provincia di Trapani con lo scopo di salvaguardare il patrimonio zootecnico apicolo e di incentivare la nascita e lo sviluppo degli alleva-menti che, in questa provincia, rappresentano un importante fattore produttivo.
La riscoperta di un antico testo, "Del Trattamento delle Api in Favignana" scritto da Teodoro Monticelli, edito nel 1805, oltre a darci una testimonianza storica di questa attività produttiva ci ha dato una ulteriore sferzata di entusiasmo.
L'idea di far risorgere l'attività apistica nel comprensorio delle Egadi è stata accolta con grandissimo entusiasmo dagli apicoltori ancora esistenti ed operanti, nostri associati.
Le attività agricole nel comprensorio delle Egadi sono pressoché inesistenti, la maggior parte del territorio è incolto e dominato dalla macchia mediterranea, un ambiente ideale per l'allevamento delle api e per la produzione di miele sicuramente incontaminato.
L'entusiasmo e la concreta possibilità di contribuire a migliorare l'economia delle isole, producendo ed offrendo un prodotto " il Miele Tipico delle Egadi" nelle varietà Erica, Rosmarino e Timo, di grandissima qualità e rarità. Questi fatti ci hanno portato alla creazione di un gruppo omogeneo di produttori denominato "Apicoltori delle Egadi" che si sono autonomamente dati regole comuni di produzione e commercializzazione creando, con il contributo della Camera di Commercio e dell'Azienda Provinciale Turismo, un'unica etichetta per il loro prodotto che verrà commercializzato con il sigillo Miele Italiano.
L'impegno di tutti, con questa nuova iniziativa, è rivolto a migliorare l'economia dell'arcipelago ed a valorizzare sempre più l'immagine del prodotto miele, associato alla incontaminata bellezza delle isole Egadi.
03 febbraio 1993
°
L'APE SICULA, UNA RAZZA DA
RECUPERARE
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L'Apis meflifjca Sicula è stata
riconosciuta come specie a se stante nel Congresso Internazionale di
Apicoltura dci 1911, da allora ha suscitato interesse in alcuni studiosi quali:
Grassi, Giavarini, Vecchi, Alber, Badino; essa rappresenta una parte del nostro
patrimonio biologico ed è il risultato dell'adattamento spontaneo e millenario
alle condizioni pedo-climatiche estreme delle regioni meridionali realizzatosi
in condizioni di assoluto isolamento.
In Sicilia esistono, anzi sarebbe
meglio dire esistevano, due lince geneticamente distinte, una diffusa nella
Sicilia Orientale importata dai colonizzatori greci e la seconda, tipica della
Sicilia Occidentale, introdotta dagli arabi circa mille anni fa.
L'interesse scientifico per Questa
ape non è mai andato oltre la pura e semplice classificazione contrariamente
alla ligustica che è stata oggetto di intensa pressione selettiva.
Massicce importazioni di api ligustiche
hanno portato alla quasi completa estinzione dell'ape sicula nella parte
orientale della Sicilia mentre è possibile trovare dei ceppi con prevalente carattere
di questa razza nelle zone centro-occidentali; la commistione delle due razze
in modo incontrollato ed irrazionale ha portato alla formazione di ibridi di
vario tipo.
Per molti anni e quindi per molte
generazioni di api non è stato possibile avere una completa separazione del
materiale genetico pertanto la razza Sicula, come unica razza geografica, risulta
attualmente fortemente compromessa. Vi sono però varie considerazioni ed
esperienze che ci inducono a pensare ad una selezione dell' Apis mellifica
Sicula.
Abbiamo osservato e registrato,
fin dal 1987, il comportamento di alcuni ceppi di ape sicula provenienti da
varie parti della provincia di Trapani reperiti grazie alla fattiva
collaborazione dei soci dell'Associazione provinciale "La Regina" e
confrontati con ceppi di ligustica provenienti dal Veneto sui seguenti
aspetti di interesse pratico: produttività, adattabilità all'ambiente,
docilità, resistenza alle malattie e sciamatura.
Le produzioni sono paragonabili e
in famiglie di uguale forza non si notano differenze significative; l'ape
sicula sfrutta forse meno intensamente le grandi fioriture, ma non conosce
soste anche in condizioni ambientali estremamente difficili quali elevate
temperature, siccità, scarsità di fioriture, mostrando così il suo perfetto
millenario adattamento.
I ceppi originari mostrano tutti
una certa aggressività, recentemente sono state isolate alcune famiglie con
particolari caratteristiche di docilità e di tenuta del favo e si è cercato di
mantenere inalterata la spiccata tendenza alla pulizia dei favi che si traduce
in una particolare resistenza alle malattie della covata.
Mediamente si deve registrare una
maggiore tendenza alla sciamatura, con l'allevamento di molte decine di celle
reali, in concomitanza con la fioritura del mandorlo, tendenza che deriva dal forte sviluppo della covata
durante il periodo in vernale, non dobbiamo dimenticare però che stiamo
trattando di un'ape che non ha mai subito pressioni selettive.
È facile dimostrare, tramite le pubblicazioni
dci tempo, che l'ape ligustica presentava, tra la fine dell'ottocento e
l'inizio di questo secolo, tante caratteristiche negative che solo la lunga
azione selettiva operata dall'uomo ha potuto mitigare o eliminare.
L'ape sicula non è mai stata
sottoposta a selezione anzi, il vecchio "Aparo" operava
inconsapevolmente una selezione negativa favorendo la produzione di sciami ed
il rinnovo spontaneo delle regine che, se non opportunamente pilotato, porta
alla naturale prevalenza degli ecotipi più aggressivi.
Con queste premesse e con il materiale
genetico reperibile è stata tentata una prima fase di recupero secondo un
criterio prettamente fenotipico operando delle scelte in base alla colorazione
del corpo, alle caratteristiche delle ali ed al comportamento che rappresentano
parziali espressioni del materiale genetico.
Per mantenere ed accrescere il numero
di famiglie con caratteristiche interessanti è stato utilizzato l'accoppiamento
naturale in periodo autunnale dopo aver stimolato la produzione di fuchi con
prevalente carattere di ape sicula.
Questa prima fase oltre a confermarci
la fattibilità della selezione ha gettato le premesse per una più ampia
collaborazione di enti interessati, indispensabile per portare avanti con successo
questa difficile e lunga operazione.
A
conclusione di questa
breve relazione mi
si conceda una banale
considerazione ed una domanda; è stato sicuramente molto facile introdurre in Sicilia delle famiglie di razza Ligustica, non si sa con quali vantaggi, creando un indescrivibile caos biologico
ma, altrettanto sicuramente occorrerà un enorme
impiego di risorse umane cd economiche per tentare di rimediare al mal fatto sperando di poterci
riuscire. Non sarebbe meglio, invece di forzare la mano alla natura, cercare di migliorare ciò che già esiste?
Vincenzo Stampa
Ottobre 1992
°
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ISTITUTO TECNICO STATALE "M. MINGHETTI" - L E G N A G O (VR)
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RELAZIONE TENUTA DALLA Dott.ssa GAMBARO IVANCICH
(Legnago, 5 marzo 1985)
LA VITA SOCIALE DELLE API
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Le api sono insetti che vivono in società: sono cioè animali che non possono vivere isolati: è la caratteristica degli Isotteri (termiti) e degli Imenotteri della famiglia dei Formicidi, dei Vespidi, degli Apidi; i cui individui sono suddivisi in "caste" che si distinguono per la morfologia e per il ruolo che rivestono nella società.
Sono caratterizzati da una regolazione sociale di grado più o meno elevato: esistono infatti specie in cui la “socialità” è molto sviluppata, altre in cui è più semplice.
Le Vespe, ad esempio costituiscono società primitive in cui non vi è differenziata una casta sterile se pur vi è presente una “scala di dominazione” che è in diretto rapporto con lo sviluppo delle ghiandole sessuali (Polistes).
Sono queste società annuali in cui tutti gli individui muoiono alla fine della stagione ad eccezione di una sola femmina fecondata che nella primavera successiva darà origine a una nuova colonia.
Le Api invece costituiscono una società permanente con un grado elevato di regolazione sociale, in cui cioè il comportamento dei singoli individui risponde a una soggezione ai bisogni della società in un modo sorprendente.
La colonia è costituita da una regina, che è la sola femmina feconda ed ha la sola funzione di produrre le uova, dai fuchi presenti soltanto in alcuni periodi stagionali per provvedere alla fecondazione della regina, dalle operaie che provvedono a tutte le necessità della colonia (costruzione dei favi, pulizia, nutrizione della covata e degli adulti stessi, riscaldamento, ventilazione, difesa, raccolta); tra le operaie si verifica una divisione del lavoro che è in rapporto con l'età e con le necessità della colonia.
Cosi la vita della società si svolge con un ordine e un ritmo che ha del misterioso: basti ammirare il movimento e la frenetica attività delle api su un favo.
In questa attività della colonia nessuno riceve ordini ma ogni individuo è mosso dalle necessità dell'alveare, necessità che avverte mediante la ricezione di messaggi.
Vediamo qualche esempio:
- E' noto che le api, raggiunta una certa età, assumono il ruolo di bottinatrici con il compito di raccogliere polline, nettare, propoli, acqua: la ricerca e l'apporto di queste sostanze è in funzione dei bisogni della colonia, dalla richiesta da parte delle operaie che lavorano dentro sui favi e manifestata dalla richiesta più o meno pressante o dal rifiuto.
La regolazione della temperatura dell"arnia è una degli esempi più significativi: le api, come sapete, sono animali poichilotermi o come si dice a sangue freddo, ma manteangono nel nido una temperatura di 34°-35° C; il riscaldamento è generato dalla vibrazione dei muscoli.
Ma durante l'estate quando la temperatura sale oltre un certo limite le api provvedono ad abbassarla con la ventilazione, e quando questa non è sufficiente con l'evaporazione distribuendo dell'acqua sui bordi delle celle: serve allora molta acqua dall’esterno che viene richiesta alle bottiriatrici e trasmessa da un'operaia all’altra con una velocità maggiore o minore secondo la necessità tempo di consegna.
Questo esempio ci dimostra non solo la capacità di collaborazione e di organizzazione che esiste nella colonia, ma la caratteristica della socialità: l'adattamento, la subordinazione ai bisogni della comunità: guardate, le api che sono attratte dai liquidi zuccherini, quando la famiglia domanda acqua, vanno a raccogliere acqua.
Eppure le api non sono intelligenti.
Osserviamole ora durante la sciamatura fenomeno altrettanto misterioso che provvede alla diffusione della specie: è uno dei fatti può emozionanti per l'apicoltore,per le caratteristiche comportamentali che si verificanoin quella circostanza.
Sappiamo che quando la famiglia raggiunge una determinata densità di popolazione le operaie iniziano la costruzione di una o può celle reali da cui dovrà sfarfallare una nuova regina mentre la "vecchia", con una scorta più o meno numerosa, in una bella mattina di sole esce dallo alveare per formare una nuova colonia; dove la regina si posa le api si stringono a formare uno sciame compatto,
espressione dello stretto rapporto che lega gli individui di una stessa colonia.
Ora vediamo: chi decide la sciamatura?
Che cosa determina la programmazione e la perfetta coordinazione della sciamatura?
Ogni momento della vita delle api è un esempio di questa coordinazione che ci lascia perplessi.
Vediamo ora le api come bottinatrici, come insetti pronubi nei confronti delle piante, per quella simbiosi mutualistica che esiste fra le api e i fiori.
L'ape come insetto pronubo è tanto più preziosa e ricercata oggi dopo che l'avvento degli insetticidi clorurati disintesi ha sterminato i pronubi dei nostri frutteti e anche,proprio perché insetti sociali, le api sono portate a frequentare fiori della stessa specie.
Perché?
Perché una bottinatrice che ha scoperto una fonte di cibo appetibile (il nettare di una determinata essenza) è in grado, quando torna all'alveare, di indicare alle altre bottinatrici la direzione, il senso, la distanza della fonte dell'alimento.
Questo, che può essere un vantaggio per l'impollinazione di una coltura, ci permettedi ammirare ancora una volta la perfetta coordinazione della colonia, che ci lascia come dicevo perplessi come se fosse regolata da una volontà intelligente.
Ma la scienza, come sapete, non accetta mai una interpretazione finalistica; vuole indagare, chiarire fino in fondo i misteri della natura.
Recentemente lo studio della biologia di alcuni insetti ha messo in evidenza l'esistenza di composti biochimici i "fèromoni" che elaborati da alcune ghiandole e versati all'esterno, stimolano l'attività di altri organismi: sono i cosidetti "messaggi" che raccolti dagli organi di senso (olfattivi, gustativi, etc.) determinano il comportamento degli organismi ricettori.
I fenomeni sono stati studiati in particolare sugli insetti sociali: "i sociormoni ".
Ve ne ricordo soltanto qualcuno:
- I feromoni della coesione: secreti dalle ghiandole mandibolari della regina, queste sostanze sollecitano l'attrazione delle operaie e dei fuchi verso la regina sia dentro l'arnia che fuori (durante la sciamatura); inoltre esercitano un effetto inibitore sulle gonadi delle operaie mantenendole in condizioni di inattività.
- I feromoni di riconoscimento: il cosidetto "odore della colonia".
- Il feromone della covata: secreto dalla covata in via di sviluppo che stimola la raccolta del polline.
- Il feromone di allarme: secreto dalle operaie a guardia dell'arnia che mette in agitazione tutta la colonia.
Ricordo a questo proposito come il pungiglione rimasto nel la ferita continui ad emettere feromoni che determinano in tutti gli individui un comportamento aggressivo; cosicché quando siamo punti da un'ape, se non ci allontaniamo rapidamente, corriamo il rischio di essere aggrediti da molte altre.
Tutte le attività della famiglia dunque, dall'attrattivo sessuale che regola 11 volo nuziale ai profumi marcanti che indirizzano le bottinatrici nella raccolta del nettare e delle altre. sostanze necessarie alla colonia, da quelli che stimolano la costruzione dci favi a quelli che decidono della costruzione delle celle reali per preparare la sciamatura, tutto il mirabile lavoro di questi insetti è regolato dalla secrezione di tali sostanze.
La loro conoscenza ci consente di dare una risposta ai nostri dubbiosi interrogativi di fronte all'incomprensibile comportamento dei singoli componenti la colonia.
Così la segreta vita dell'alveare si va via via dispiegando agli occhi degli studiosi, suscitando sempre più il nostro interesse per le arcane forze del mondo dei viventi.
Ciò non toglie nulla al fascino dell'alveare che da secoli ha entusiasmato ed entusiasma l'uomo; anzi per chi lo segue con attenzione e con entusiasmo diventa ogni giorno più attraente ed ammirevole.
GAMBARO IVANCICH
Legnago. marzo 1985
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