( Come una favola diventa realtà )
La leggenda del Pastore Aristeo fa parte del IV libro delle GEORGICHE di Virgilio, interamente dedicato all'allevamento delle api. Gli altri libri sono dedicati: il primo alla cura dei campi, il secondo alla riproduzione di alberi e piante, ed il terzo all'allevamento del bestiame.
E' notevole il fatto che il poeta dedichi un intero libro a questo argomento infatti, i prodotti dell'alveare
erano indispensabili e insostituibili; il miele era l'unica sostanza dolcificante usata nell'alimentazione ed anche la base per la produzione di bevande fermentate come l'idromele, la cera era adoperata sia per l'illuminazione che per le tavolette da scrivere ed il propoli aveva un valore anche maggiore perché adoperato in medicina come disinfettante e cicatrizzante.
erano indispensabili e insostituibili; il miele era l'unica sostanza dolcificante usata nell'alimentazione ed anche la base per la produzione di bevande fermentate come l'idromele, la cera era adoperata sia per l'illuminazione che per le tavolette da scrivere ed il propoli aveva un valore anche maggiore perché adoperato in medicina come disinfettante e cicatrizzante.
Siamo attorno all'anno 30 A.C., Columella ha scritto un intero trattato sull'allevamento delle api dettando regole e metodi che saranno applicate con successo per molti secoli fin quasi ai giorni nostri infatti nel 1835 il naturalista Monticelli Teodoro, esiliato a Favignana per motivi politici, scrive un trattato sull'Apicoltura in Favignana, descrivendone le tecniche ed elogiando gli apicoltori favignanesi che meglio degli apicoltori austriaci hanno saputo tramandare e migliorare i metodi codificati da Columella.
Ma, mentre la pratica apistica, al tempo di Virgilio, era molto sviluppata, nulla si sapeva sui meccanismi che regolano la vita delle api, sulla loro riproduzione e sul modo in cui vengono prodotti miele, cera ecc. ecc.
Pensate! Ancora adesso gli anziani apicoltori, vedendo le api ritornare all'alveare con le zampette piene di polline, dicono "le api portano la cera", rinnovando così una credenza vecchia di millenni.
Ancora nel 1833 il naturalista Conte di Buffon nella sua storia naturale degli insetti, chiama il polline "cera informe" e ritiene che si trasformi in cera nello stomaco delle api e come tale rigurgitata e utilizzata.
Gli antichi credevano che il miele scendesse dal cielo come una rugiada e si depositasse sulle foglie e sui fiori, da dove le api lo raccoglievano, la cera invece si riteneva che stillasse direttamente dalle piante.
Non meno misteriosa era la riproduzione, ecco un passo significativo dalle Georgiche
" E meraviglia avrai di un'altra usanza dell' api: non inducono all'amplesso, non rendono fiacchi i corpi col piacere, né i figli partoriscono tra le doglie. Infatti con la bocca esse raccolgono i nati che le foglie generarono o qualch'erba soave ...".
Le Georgiche sono per generale consenso il capolavoro della letteratura latina, cioè una delle massime opere d'arte di tutti i tempi, Virgilio vi lavorò otto anni tra il 37 ed il 30 A.C..
Nella primavera del 29 A.C. l'opera venne letta direttamente da Virgilio e Mecenate ad Ottaviano Augusto, reduce dalla definitiva vittoria in Egitto su Antonio e Cleopatra.
La conoscenza tra Virgilio ed Augusto era avvenuta molti anni prima in conseguenza degli sconvolgimenti politici accaduti in seguito alla morte di Cesare.
Dopo la caduta di Bruto i territori Cisalpini furono confiscati, suddivisi in iugeri ed assegnati ai veterani; compreso il territorio di Mantova dove Virgilio aveva il podere paterno.
Egli si oppose disperatamente ma, senza successo, alla confisca durante gli anni dal 41 al 39 A.C. in cui componeva le bucoliche, dieci carmi nei quali sotto l'allegoria agreste esprime lo sdegno per il sopruso subito, l'amarezza per gli studi turbati e la nostalgia per il bene perduto.
Successivamente si trasferisce a Roma dove il prestigio derivante dalla composizione di questi carmi gli procura l' amicizia di Mecenate ed i favori di Augusto.
Da questo sodalizio nascono le Georgiche che per il poeta rappresentano la celebrazione della sua profonda aspirazione ad una vita idilliaca nel rispetto delle tradizioni ed in sintonia con la natura, mentre, per Augusto e per il suo ministro Mecenate un preciso discorso politico con l'intento di promuovere il ritorno alla madre terra, di reagire contro l'urbanesimo dilagante (Roma è diventata una metropoli di due milioni di abitanti) e contro il latifondo, a favore della piccola proprietà contadina che provvedeva, oltre alla produttività dei campi, a fornire uomini rudi per le legioni romane.
E chi meglio del poeta Virgilio può esaltare una mitica Roma austera, bellicosa e rurale, un'Italia idealizzata nella sua bellezza antica ad in una leggendaria fecondità?
Virgilio nel suo poema si rivolge esclusivamente ad un unico agricoltore che è, nel medesimo tempo, proprietario e lavoratore del suo podere; senza padrone e senza schiavi l'agricoltore virgiliano lavora con la sua famiglia la propria terra da cui trae il necessario per il sostentamento della famiglia e della patria e cresce la prole nel culto di Roma e nell'ambiente più adatto a formare i corpi e gli animi dei futuri legionari.
L'organizzazione delle api ben si presta a questa idealizzazione, vediamo cosa dice il poeta a proposito della regina allora creduta un re:
" Se vive il re, tutte d'accordo stanno; ma, s' ei scompare, spezzano ogni vincolo, sperpero fanno del raccolto miele e distruggono dei favi la compagine.
E' lui che veglia sui lavori; tutte rispettano lui solo, lo circondano con acuto ronzio, fitte lo serrano e spesso sulle spalle lo sollevano, gli fan scudo dei loro corpi in guerra e morte eroica cercan fra gli strazi.
Per questi segni e queste prove, alcuni disser che parte del divino ingegno posseggon l' api e spirito celeste .."
Per dare maggiore consistenza a questa visione divina delle api e dei suoi, prodotti, ricordiamo il miele che scende dal cielo come rugiada, ecco l'invenzione poetica della leggenda di Aristeo.
Il pastore Aristeo, esperto nell'arte di allevare le api, è figlio di Apollo e di Cirene, una ninfa del fiume Peneo in Tessaglia.
Egli è rivale in amore di Orfeo che sposa la ninfa Euridice.
Aristeo follemente innamorato di Euridice la insidia nel giorno stesso delle sue nozze con Orfeo, la ninfa gli sfugge e, correndo per l'argine di un fiume, viene morsa da un serpente e si spegne in breve tempo.
Le ninfe prese da pietà per la morte di Euridice colpirono Aristeo in ciò che gli era più caro cioè, dettero morte a tutte le sue api.
Dice il poeta
" ..Il pastore Aristeo, salendo in furia la val di Tempe corsa dal Peneo, perdute l' api sue per fame e morbo (come si narra), pieno di tristezza sostò del fiume alla sorgente sacra, levando alti lamenti ed invocando la genitrice sua .."
La ninfa Aretusa scossa da tanta disperazione, esorta Cirene ad ascoltare Aristeo che viene ammesso al cospetto materno; ed ecco qui una bellissima immagine del mondo sotterraneo delle acque.
"..E già, ammirando la materna casa, e gli acquatici regni, e i laghi chiusi entro le grotte, e le fruscianti selve, egli avanzava e, pieno di stupore per l'immane fluir delle correnti, lo scorrere vedea di tutti i fiumi per ogni dove sotto l'ampia terra.."
Seguendo il consiglio della madre Cirene, Aristeo si reca nell'antro del vate Proteo e lo costringe a svelargli il motivo della sua sventura.
Così Proteo:
"..L'ira di un nume sul tuo capo incombe! Sconti la pena di un peccato orrendo! Orfeo, che senza colpa ebbe a patire, contro di te questo castigo scaglia ed infierisce sopra di te per la perduta sposa.
Mentre da te fuggiva a pazza corsa sulla sponda del fiume, la fanciulla già consacrata a morte, in mezzo all'erba non vide ai piedi suoi la serpe immane, ch'era in agguato là presso la riva. Delle Driadi compagne allor la schiera il suo dolor gridò per gli alti monti: piansero fin del Rodope le vette .."
E la madre Cirene a lui sgomento tosto parlò:
" Figlio tu puoi scacciare ogni pensiero mesto dal tuo cuore questa sola è del morbo è la cagione; per questo sol le Ninfe, che con essa (Euridice) danze movean nel cuor delle foreste, triste rovina all' api tue mandarono.
Tu porgi i doni e chiedi pace, supplice, rendendo onore alle Napèe benigne, ed esse ti sapranno perdonare, se tu le implori, e deporranno l'ira .."
Così Aristeo seguendo i consigli della madre si appresta al rito sacrificale.
" Non indugia Aristeo: subito adempie i consigli materni, ai templi sale, gli altari innalza come fu prescritto, quattro tori possenti, i più gagliardi, e insieme quattro delle sue giovenche dall'intatta cervice vi conduce.
E quando sorta fu la nona aurora e la funebre offerta espiatoria ebbe porto ad Orfeo, tornò nel bosco.
E qui apparve (mirabile a narrarsi) un subito portento: ecco le api dalle viscere putride dei bovi per tutto il ventre venir su ronzando, brulicare dai fianchi lacerati ed affollarsi in nugoli infiniti: quindi in cima ad un albero s'ammassano e pendon giù dai curvi rami a grappoli .."
E' evidente che il poeta identifica nelle api di Aristeo, tutte e le uniche api esistenti dando ad esse, con questa rinascita prodigiosa quella origine divina di cui abbiamo detto.
Egli non fa altro che riprendere un racconto che con piccole varianti ha attraversato trasversalmente culture diverse ed epoche diverse; ad esempio Varrone dice che i greci chiamavano le api Bayoras, in quanto credevano che nascessero dalle carni di buoi imputridite.
Nel vecchio testamento si parla di api che nascono dalla bocca di un leone morto nel deserto.
E così via fino a tempi recenti; una versione del 1528 riprende gli scritti di coloro che l'avevano già riportata: Plinio, Eliano, Varrone, Virgilio, Celso, Columella, Democrito, Ovidio, ecc. ecc. con la seguente conclusione: "Aristeo si curò di raccoglierle e le mise nelle arnie dove
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Nel pensiero dei vari autori con lo scorrere dei secoli la leggenda divenne un metodo reale per procurarsi le api e fu all'origine di una credenza molto radicata nel bacino del mediterraneo.
E finalmente nel 1833, in seguito alla sistematica applicazione del metodo scientifico sperimentale, si squarciano i veli sulla verità ed il già citato naturalista Conte di Buffon riferendo per motivi storici una versione di Ovidio si chiede:
" Tanto si sono divagati in erronee sentenze uomini dottissimi? "
La risposta è: Si!
Vincenzo Stampa
Bibliografia :
Celso Ulpiani "Le Georgiche"(1927)
Biblioteca Fardelliana LIII.G.34
G. Sapio "La Gerogica di P. Virgilio Marone" ( 1863)
Bibl. Fardelliana LVIII.G.51
L. Firpo "Virgilio, Le Georgiche" (1970)
Bibl. Fardelliana XIX.G.52
F. Marchenay "L'Uomo e l'Ape" Edagricole (BO); biblioteca dell’autore
Conte di Buffon "Storia Naturale" Firenze 1833; biblioteca dell’autore
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