sabato 5 aprile 2014

Apicoltura chiede: Ape domestica o selvatica?

Possiamo provare a chiarire un dubbio: l’ape che noi alleviamo è domestica o selvatica?



L’alveare ha un suo programma biologico, che possiamo definire un piano triennale, verso un obbiettivo specifico, la propagazione della specie.  Questo programma si realizza tramite la sciamatura cosicché un individuo moltiplicandosi in più individui, da alla specie una maggiore probabilità di sopravvivenza, è come un criterio assicurativo, la suddivisione del rischio.

Se prendiamo in considerazione uno sciame con regina giovane, all’inizio della sua carriera, in un ambiente sufficientemente spazioso, possiamo stare certi che, per i primi due anni di vita, si dedicherà alla costruzione e all’ampliamento dell’alveare e soltanto al terzo anno di attività entrerà in febbre sciamatoria, dando origine a nuove famiglie che si allontaneranno dal luogo di origine conquistando altro spazio vitale.
L’apicoltore ha molti strumenti operativi per contrastare questo evento economicamente svantaggioso, escludendo a priori il più drastico cioè la sostituzione della regna vecchia con una nuova,  può ad esempio ridurre la popolazione sottraendo favi di covata e api oppure, con un intervento più intenso, può fare esso stesso una sciamatura artificiale sdoppiando l’alveare;  inganni che rinviano la sciamatura e servono a guadagnare tempo nel tentativo di sospenderla del tutto.
La sciamatura è un fenomeno che è anche legato alla stagione per cui l’epoca in cui si può presentare varia al variare del luogo geografico, in alcune zone della Sicilia si può presentare in febbraio-marzo mentre andando verso il nord può verificarsi fino a giugno. 
Ma in ogni luogo geografico c’è un evento in comune, superata la stagione tipica l’alveare rinuncia al suo proposito e riprede la sua normale attività rinviando la sciamatura all’anno successivo.
L’apicoltore, per non perdere il raccolto, deve assolutamente evitare la sciamatura ma l’alveare ha raggiunto il suo scopo?
Direi di si!
Se consideriamo le operazioni possibili quali il cambio di regina, la sottrazione l’utilizzo dei favi di api e covata, la formazione di uno sciame artificiale, tutte operazioni che dal punto di vista dell’alveare sono conformi all’obbiettivo: perpetuare la specie e/o accrescerne la diffusione nell’ambiente che è comunque raggiunto.

Definizione
- Addomesticato: Queste specie o varietà sono nate e cresciute sotto il controllo dell'uomo per molte generazioni e sono sostanzialmente modificate come gruppo per l'aspetto ed il comportamento.

Mi sembra molto azzardato affermare che le api sono abituate alla convivenza con l’uomo, non avremmo bisogno ad esempio del vestiario di sicurezza durante il contatto diretto con loro ed inoltre il controllo che noi esercitiamo non implica una obbedienza o una sudditanza da parte dell’insetto, l’intervento dell’apicoltore riguarda la modifica, non sempre con successo, dei meccanismi che regolano il ciclo di vita propri dell’alveare mediante un inganno, in pratica bariamo, che induce l’alveare ad un riadattamento e alle volte alla riprogrammazione del ciclo vitale; è come se saltassimo indietro o in avanti una parte di un programma pre-definito che deve essere comunque portato a termine.
Non si tratta quindi, per l’alveare, di una modifica permanente di un atteggiamento o di un comportamento ma soltanto di una riprogrammazione per rimediare ad un disturbo di provenienza estranea.
Gli alveari mostrano, grazie alla loro organizzazione biologica, una grande capacità di reazione agli stimoli e/o disturbi provenienti dall’esterno; una capacità acquisita per evoluzione e non per educazione, tant’è che i principi fondamentali che governano la vita dell’alveare, come si evince dalla letteratura, sono rimasti immutati per migliaia di anni.   
Mi risulta molto difficile accettare il concetto di domesticazione riferito all’ape.
La conclusione è che l’alveare non è per niente addomesticato, lui continua a perseguire il suo scopo eseguendo un programma prestabilito ma non rigido, potendosi adattare a mutate condizioni ambientali; l’apicoltore che ha capito i meccanismi molteplici ma semplici che fanno parte del progetto di vita dell’alveare, può indirizzarli, potenziarli o deprimerli, volgendoli a proprio vantaggio ma non può alterare o cancellare il programma   

L’apicoltore non ha modificato il progetto dell’alveare ma ne è stato l’esecutore supplente.

Il pericolo è in agguato!
L’apicoltore che ha imparato a muovere queste leve può incappare in una sindrome, molto più diffusa di quanto si creda, la “sindrome di onnipotenza”.
La potremmo definire una malattia ma preferisco pensare ad un errore di valutazione.
Questa sindrome può indurre l’apicoltore in gravi errori di valutazione e comportamentali, nella convinzione di potere imporre la sua volontà all’alveare,  
nell’immediato egli crea un danno all’alveare ma, alla fine il danno è per l’apicoltore che si ritrova con alveari squilibrati e improduttivi.
Il rimedio c’è e si definisce con due sole parole “attenzione e umiltà”.
L’apicoltore non è il dominus della situazione ma è al servizio degli alveari e  dalla diligenza dello svolgimento di questo compito ricava il suo vantaggio economico.

2 commenti:

  1. Buongiorno mi chiamo Fabio e le scrivo dal Piemonte. Le faccio i complimenti più sinceri per il blog, per il suo modo di esporre le idee e per la sua libertà di pensiero. Sono un appassionato di apicoltura e negli ultimi tempi sto "rompendo le scatole" a vari apicoltori della zona per apprendere quest'arte meravigliosa! a cosa che mi lascia di stucco è che NESSUNO sembra conoscere lo Spazio Mussi e neppure sui testi che ho viene menzionato! Viene da pensare male alle volte... Comunque sia vorrei iniziare a prendere un paio di arnie e mi interessano le DUCA, vorrei sapere se lo Spazio MUssi è contemplato anche su questo tipo di arnia. Mi pare di capire di sì ma vorrei una conferma e qualche consiglio.
    Ringrazio in anticipo.
    Fabio

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    1. Caroo Fabio
      Per come la vedo io non ci dovrebbero essere problemi particolari, credo che lo "Spazio Mussi" risponda ad una condizione esistenziale delle api.
      Il fattore geometrico è relativo, le api si adattano ad ogni cavità, però sono del parere che la forma alta e stretta (arnia DUCA) sia più vicina alla naturale propensione delle api rispetto a quella larga e bassa (arnia DADANT). In sintesi esperienze mie, del passato, dimostrano che in un'arnia Dadant senza escludi regina, con la possibilità di deporre nel melario, gli alveari si sviluppano e lavorano in modo più armonioso.
      Nel fare il travaso segui le indicazioni che trovi sul blog è molto importante mettere subito le api in condizione di controllare lo spazio interravo.

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