La cultura occidentale, spinta
dalle esigenze del mercato di massa, ha puntato decisamente sulla divulgazione
e sull’affermazione di un concetto, assolutamente innaturale, fondato sul
binomio uniformità-perfezione un concetto che intuitivamente tutti trasponiamo
in uniformità-bontà o uniformità-qualità.
L’assoluta trasversalità di
questa affermazione binomiale la possiamo constatare quotidianamente nei
prodotti che l‘industria ci propone, in ogni campo, dall’alimentazione all’abbigliamento,
dai mezzi di trasporto all’arredo domestico, non si fa altro che rimarcare
l’omogeneità del prodotto.
Ora, se questa omogeneità ha un
intrinseco valore per la produzione industriale in serie, mal si adatta alle
produzioni naturali, in milioni di anni la vita, in tutte le sue
manifestazioni, ha sperimentato che il fattore di successo non è l’omologazione
ma la diversità; non dobbiamo però confondere diversità con asimmetria perché,
mentre la diversità è una proprietà di una classe di individui della stessa
specie, la simmetria o asimmetria è una caratteristica del singolo individuo.
Il passaggio dalla produzione
artigianale a quella industriale, un procedimento iniziato nell’era moderna
verso la fine del 1700, ha dei magnifici esempi nelle civiltà più antiche
principalmente nel campo militare; la capacità di replicare in grande numero un
modello collaudato di armamento, ha rappresentato il fattore di successo degli
eserciti dell’antichità, per altro non dimentichiamo la produzione in serie di
ornamenti e fregi per l’edilizia già ai tempi degli Etruschi o la produzione
massiva di contenitori per prodotti alimentari solidi e liquidi come anfore, orci, ecc. presente in tutte le
civiltà del passato.
Il processo di
industrializzazione delle produzioni è avanzato di pari passo con la
progressiva eliminazione dei difetti di lavorazione che si traduce in una
maggiore economicità del ciclo produttivo per la diminuzione degli scarti e
delle contestazioni.
Il perfezionamento del processo
produttivo ha comportato il ricorso da un lato all’omologazione di standard
tipologici di prodotti e dall’altro ad una sempre maggiore automatizzazione
delle lavorazioni, minimizzando l’errore umano nelle operazioni produttive.
Che c’entra tutto questo con
l’apicoltura ?
Il successo dell’omologazione e
standardizzazione in campo industriale, meglio noto come “la rivoluzione
industriale “ ha creato in primis un
clima di euforico entusiasmo e successivamente un abitus mentale secondo il quale,
ogni procedimento produttivo necessita di un modello standard omologato.
Nessuna attività umana si è
potuta sottrarre a questo dettame, perfino l’arte figurativa.
La scoperta del passo d’ape,
l’adozione del favo mobile la conseguente produzione in serie di arnie standard
sono la risposta apistica al criterio di omologazione.
Non ci sono dubbi sui vantaggi
produttivi derivati da questa scelta ma, non ci siamo preoccupati, più di
tanto, di sapere se le api fossero d’accordo.
Tra la fine del 1800 e i primi decenni del 1900 ci fu un grande dibattito internazionale riguardo alla costruzione
delle arnie, forme, dimensioni, spessori distanze interfavo, ci si interessò
anche del benessere delle api sempre però nell’ottica dell’efficienza
produttiva, abbiamo cioè visto le api più come uno strumento, una macchia,
piuttosto che come un essere vivente.
La regolarità con cui le api
costruiscono il modulo strutturale del favo, l’esagono, l’abbiamo interpretata
come esigenza fondamentale di simmetria che associata alla utilitaristica
mobilità dei favi ha finito con il creare, nell’immaginario collettivo, il
binomio simmetria-produttività.
C’è un piccolo particolare, il
concetto umano di simmetria non corrisponde a quello delle api.
Per le api la simmetria o la
geometria è funzionale allo spazio disponibile inteso come volume, forma e
direzione, la combinazione di questi tre fattori determina la costruzione dei
favi la cui forma, dimensione e disposizione non è soltanto finalizzata al
riempimento dello spazio disponibile ma deve in ogni caso soddisfare
all’esigenza di vivibilità, cioè alla possibilità di condizionamento
dell’atmosfera circolante nell’alveare.
Le soluzioni sono pressoché
infinite, ogni alveare, potendo, si esprime liberamente erigendo delle
costruzioni funzionali e architettonicamente affascinanti.
Tutte le volte che mi capita di
vedere delle foto di alveari “razionali” in cui i traversi superiori dei telaini non hanno un
minimo accenno di costruzione di celle e neanche un ponticello tra di loro, mi
chiedo, vi abitano api o robot ?
Con questo non si vuole
assolutamente negare l’utilità del favo mobile del foglio cereo ecc. ecc. ma
nemmeno si può essere prigionieri di una perfezione tanto maniacale quanto
innaturale e forse del tutto inutile.
Da dove viene questa “perfezione”
?
Viene dalla pressione selettiva a
cui è stata sottoposta da circa cento cinquanta anni l’ape e in particolare
l’ape ligustica.
La selezione è lo strumento
principe di miglioramento genetico se n’è accorto, storicamente per primo,
Pirro re dell’Epiro il quale, volendo accrescere la sua potenza militare aveva
bisogno di più soldati e quindi di maggiore disponibilità alimentare; per cui
iniziò a migliorare il rendimento dei suoi allevamenti selezionando quegli
animali che producevano più carne, latte, ecc.
Questo esempio storico ci indica
chiaramente che la selezione persegue degli obbiettivi che prescindono dalle
esigenze della natura.
Mentre questo può andare bene per
quelle specie che dipendono in tutto e per tutto dall’accudimento quotidiano
dell’uomo, non necessariamente va bene per le api, cosiddette domestiche, che
in larga misura sono, quotidianamente da sole nei confronti dell’ambiente,
delle avversità climatiche, dei nemici naturali.
Se è vero che è il comportamento
riproduttivo a presentare la massima ereditabilità, è altrettanto vero che la
pressione selettiva può lasciare per strada tutta una serie di caratteristiche
comportamentali che globalmente fanno parte della rusticità di una specie.
Allora le domande che ci dovremmo
porre sono :
Abbiamo esagerato nella pressione
selettiva?
Abbiamo perseguito obbiettivi
contrari alle esigenze naturali delle api ?
Il dibattito è aperto.
Anche le specie che dipendono dall'accudimento quotidiano dell'uomo sono frutto di una selezione esasperata rivolta unicamente alla produttività e alla redditività. Ricordo di mio nonno quando raccontava delle sue galline che facevano un paio di uova alla settimana e non erano allevate in batteria, ma erano sicuramente più resistenti alle patologie di quelle che si trovano nei moderni allevamenti. Sono convinto che le api tutto sommato abbiano subito meno la pressione selettiva esercitata dall'uomo nei confronti degli animali domestici e soprattutto abbiano mantenuto la libertà di muoversi ed interagire con l'ambiente in cui vivono, condizione di fondamentale importanza per ogni essere vivente. A volte per coniugare passione, lavoro e reddito si è costretti a compromessi; l'importante è tener presente che il benessere delle api deve rimanere il primo obiettivo da perseguire e un Bravo apicoltore non lo dimentica mai.
RispondiEliminaComplimenti sinceri
Saluti
M.Moretti