Una delle prime cose che mi ha
insegnato il mio maestro di apicoltura è che l’apicoltore deve essere in grado
di capire quello che le api si accingono a fare e giocare d’anticipo per
volgere a proprio favore quello che esse faranno; tutte le volte che
l’apicoltore si intestardisce a volere comandare alle api, inevitabilmente, va
incontro a cocenti delusioni.
Dalle mie parti, in provincia di
Trapani, gli apicoltori sono piuttosto tradizionalisti, hanno saputo resistere
al fascino
nordico delle bionde, almeno per le api regine s’intende, si sono
accontentati di utilizzare al meglio quello che hanno trovato in loco anche se,
purtroppo, oggi le api autoctone, api Sicule, risultano fortemente inquinate,
però è confortante constatare che la sicilianità tende naturalmente a prevalere
sull’italianità.
L’anno orribilis per l’apicoltura
siciliana ha una connotazione precisa 1983.
In precedenza, negli anni
settanta, non so bene perché, la Regione Siciliana decise di dare un forte
impulso all’apicoltura finanziando l’acquisto di arnie e sciami anche per
piccoli quantitativi, i soliti finanziamenti a pioggia. Gli apicoltori
siciliani non furono in grado di soddisfare la forte richiesta, inizia così il
primo inquinamento massiccio dell’ape autoctona, l’ape Sicula.
Le importazioni più massicce e
sistematiche si realizzarono nella Sicilia orientale dove, da sempre, si
pratica un’apicoltura da reddito e dove l’ape Ligustica venne apprezzata per la
sua capacità di realizzare grandi raccolti su fioriture brevi ma intense come
quella dell’arancio.
Nella Sicilia occidentale invece
prevale e tutt’ora resiste l’ape sicula, perché più adatta anche a fioriture
poco intense e prolungate, per la sua grande capacità di ispezione del
territorio e la sua frugalità.
La prima grande moria a causa
della varroa risale, come detto, al 1983, e ancora una volta, per alcuni anni, si dovette sopperire all’assoluta mancanza di api con l’importazione
dal nord. Nel giro di pochi anni ci si accorse della scarsa adattabilità
dell’ape Ligustica e si ritorna con grande pazienza al recupero dell’ape
Sicula.
Ape sicula |
Risale al 1990 l’inizio della collaborazione con l’Università di Brema,
interessata allo studio del comportamento dell’ape Sicula, in particolare al
suo comportamento riproduttivo. Nello stesso anno viene pubblicato il manuale
di Michele Campero che propone il suo telaino trappola indicatore, inizia così
una stagione favorevole per gli apicoltori della provincia di Trapani e la
mortalità di alveari per varroa diventa un evento sempre più raro in special
modo quando al telaino Campero viene associato un trattamento autunnale con
acido ossalico. E’ vero che l’uso del telaino Campero comporta visite con
frequenza di dieci dodici giorni ma bisogna dirla tutta, il telaino Campero si
adopera all’inizio della primavera, un periodo dell’anno in cui gli alveari
sono in crescita e si preparano alla sciamatura e, in ogni caso, vanno tenuti
sotto controllo. L’uso del talaino Campero, che è anche indicatore della
tendenza dell’alveare, permette all’apicoltore, che ha imparato a leggerne i
segnali evidentissimi, di iniziare e finire la visita all’alveare con la sola
lettura del telaino indicatore Campero, con grande risparmio di tempo e con interventi
perfettamente mirati in quanto suggeriti dalle stesse api, chi afferma il
contrario è semplicemente ignorante.
Per tornare all’ape Sicula, dagli
studi dei ricercatori dell’Università di Brema emerge che questa ape ha delle
caratteristiche genetiche e comportamentali che la classificano come un’ape più
arcaica rispetto ad esempio all’ape Ligustica o alla Carnica.
Ma la vera rivoluzione si ha
nell’anno del signore, come usava dire una volta, 2003.
Al XXXVIII Congresso Apimondia di
Ljubliana un apicoltore, nostro connazionale Francesco Mussi di Massa, annuncia
una sua scoperta sul campo della lotta alla varroa di una semplicità disarmante
e, come poi comprovato, di un’efficacia inimmaginabile. Dopo un primo anno di
prove preliminari e alcuni anni di applicazione massiccia, su un allevamento
nomade di diverse centinaia di alveari, visti i risultati sorprendenti, nel
2008 ho portato il metodo a conoscenza degli apicoltori dell’associazione di
Trapani con risultati omogenei e costanti in tutti gli allevamenti in cui il
metodo è stato applicato, supportato con i suggerimenti dettati dalle
esperienze maturate in precedenza.
Fermo restando che lo Spazio
Mussi è stato sperimentato e messo a punto in Toscana su api Ligustiche e che nel
resto del territorio italiano ci sono esperienze contrastanti, trascurando quello
che dicono i soliti tromboni più interessati al commercio dei farmaci che al
miglioramento qualitativo del lavoro dell’apicoltore e delle produzioni,
prendendo in considerazione i risultati di quegli apicoltori di cui ci si può
fidare e che veramente si sono cimentati nel metodo Mussi, si registrano
risultati positivi e negativi distribuiti in modo casuale, a macchia di
leopardo, su tutto il territorio nazionale anche in zone tra loro limitrofe e
con api, al di fuori del territorio siciliano, di razza Ligustica è d’obbligo
porsi delle domande.
Alphandery, autore del famoso
trattato completo di apicoltura (edizione italiana del 1935), riporta un’indagine
della “Gazrtte Apicole” presso i maggiori apicoltori internazionali del suo
tempo; la domanda era:
si può vivere di apicoltura?
Tra le varie risposte è particolarmente
attuale quella che qui riporto
Risposta di P. Berdard, ingegnere chimico,
personalità apistica, autore di parecchi lavori.
« Dopo le trasformazioni considerevoli
sopravvenute nelle condizioni generali d'esistenza e ad un' epoca nella quale
tutto è instabile e sopravvalutato, è difficile dare una risposta affermativa
alla vostra domanda: << Si può vivere unicamente occupandosi
d'apicoltura? >>. Le esigenze di ciascuno sono divenute così grandi, che
la macchina sociale rischia di immobilizzarsi per l'inceppamento di tutte le
sue ruote. Ciò non di, meno, personalmente sono del parere che si può
perfettamente vivere occupandosi solamente d'apicoltura, ma però ben poche
persone presentano le condizioni essenziali per riuscirvi.
E' necessario
dapprima, con delle pretese moderate, amare le api molto più del miele, e avere
un temperamento speciale. Abbisognano delle conoscenze varie, dell'iniziativa,
della perseveranza, amare lo studio, la documentazione e la sperimentazione.
Non considerare l'apicoltura come una scienza esatta, come la matematica, che
si può assimilare dalla lettura di opere speciali, tutte troppo categoriche,
ma
sapere e potere passare, al vaglio di una prova imparziale, comparativa e
prolungata, i metodi classici e quelli che ne dissentono, ed occorrendo saperne
pure mettere in pratica qualcuno, prima di potere finalmente darsi unicamente
all' apicoltura.
I risultati tardano sovente a venire
ed il capriccio mutevole delle stagioni facilmente elude le speranze le meglio
fondate. Va da se che in difetto di arnie, l'esercizio di un' altra professione
si rende necessaria. Una regione molto mellifera aiuta molto per la soluzione
del problema, ma una regione ordlnaria con metodi appropriati, è in generale
pure buona, poiché le regioni molto mellifere, d'altra parte assai rare,
soventemente sono sovraccariche di arnie e di malagevole esercizio». (frammento
da “La Gazzette Apicole”, Montfavet-Avignon 1920).
- gli apicoltori che hanno
sperimentato lo Spazio Mussi hanno tenuto conto delle reali esigenze delle api?
E, approfondendo ulteriormente,
distribuendo in due categorie gli apicoltori
a) Con risultati positivi; b) Con risultati negativi,
quali possono essere le somiglianze
o le differenze nel modo di rapportarsi alle api tra questi apicoltori?
Mi rendo conto che questa può
sembrare una linea di pensiero asimmetrica, rispetto alla ricerca ufficiale ma,
dopo avere sperimentato per sette anni con successo il metodo, mi viene
difficile pensare che si possa rinunciare a capire il perché e il per come di
questi risultati contrastanti.
La storia naturale ci insegna che
la molla della perpetuazione delle specie è la diversificazione, è l’estensione
di questo serbatoio di possibili strumenti che garantisce un futuro agli esseri
viventi, l’intelligenza è uno di questi strumenti non rinunciamo ad applicarla
in ogni possibile direzione.
Scritto il 20 giugno 2011
Nessun commento:
Posta un commento