Non
è possibile parlare di varroa oggi con lo stesso spirito pioneristico degli
anni ottanta, del secolo scorso. In seguito alle migliaia di pubblicazioni
scientifiche sull’argomento, di altrettanto numerose esperienze pratiche e di
decine di prodotti chimici anti varroa in circolazione, oggi, si può parlare di
varroa soltanto come di un remoto fatto storico anzi di un relitto storico di
cui ancora troviamo traccia negli alveari, un coccio di vaso etrusco, una
ossidata moneta punica o se preferite un cognome romano; ho un amico che fa di
cognome Pompeo.
Tutti,
o quasi, per più di trenta anni, siamo andati a briglia sciolta alla ricerca
della “pietra filosofale” di quel qualcosa che: non costa nulla, non accresce
l’impegno di lavoro, ed inoltre: di uso facile e di grande efficacia contro la
varroa.
Ogni
cosa messa in campo fino al 2003, diconsi per ben ventiquattro anni dall’arrivo
della varroa, ha presentato una o più manchevolezze rispetto alle
caratteristiche desiderate. Eppure tanti uomini di buona volontà si sono
arrovellati per giungere ad una soluzione accettabile, non solo per gli
apicoltori e per i prodotti dell’alveare ma anche per le api le quali, in
questa gigantesca tragicommedia, sono le più dirette interessate.
E
sono proprio le api che hanno sofferto di più delle malversazioni degli
apicoltori, i quali non hanno esitato a bombardarle con qualsivoglia aggressivo
chimico purché economico, di facile applicazione anche se non
perfettamente efficace contro la varroa;
tanto alla poca efficacia si è rimediato reiterando gli interventi.
E le
api hanno sfoderato una delle più sorprendenti qualità “la resistenza agli
attacchi degli apicoltori” ma, purtroppo per loro, anche questa eccezionale
resistenza ha finito, generazione dopo generazione, con il mostrare i propri
limiti.
Di
quante generazioni parliamo?
Se
consideriamo il periodo che va dal 1979 all’anno attuale, 2012, e ammettiamo
una sostituzione biennale delle regine, sono ben sedici generazioni e più che, rapportate
al genere umano, equivalgono a poco più di ben 400 anni di vessazioni continuate
e reiterate sempre con maggiore violenza.
Eppure
l’arrivo della varroa ha rappresentato per la ricerca oltre che una sfida anche
un’opportunità.
Gli
studi e le sperimentazioni hanno riguardato la varroa in quanto tale, con
l’obbiettivo di trovare un punto debole su cui fare leva al fine di contrastarla in modo diretto, ed
anche il rapporto ape varroa con lo scopo di trovare un punto di equilibrio, di
rispettosa convivenza, tra il parassita ed il suo ospite fondato sulle loro
abitudini e capacità.
Questa
seconda linea dii ricerca ha evidenziato un interessante aspetto del rapporto
ape-varroa il “grooming” che possiamo
tradurre in spulciamento, un termine improprio ma che rende l’dea sulla
capacità delle api di liberarsi reciprocamente dal parassita.
Da
molti anni s’indaga in questa direzione come si vede dai due lavori apparsi su
APIDOLOGIE, di cui si riportano i riassunti.
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Apidologie (1997) 28, 427-437
Damaged
Varroa mites in the debris of honey bee (Apis mellifera L) colonies with and without
hatching brood.
Riassunto
Varroe mutilate tra i detriti delle colonie
di api da miele (Apis mellifera L) con e senza covata nascente.
“ Un comportamento di grooming diretto in modo
specifico contro l'acaro Varroa Oudemans jacobsoni potrebbe ridurre la
popolazione di acari in una colonia di api e quindi agire come un fattore di
tolleranza dell’ospite.
La possibilità di quantificare Questo
comportamento di grooming attraverso la percentuale di acari danneggiati
presenti nei detriti dell'alveare è controversa. E’ importante sapere se questi
acari erano ancora in vita al momento della mutilazione.
Abbiamo cercato di quantificare il tasso di
mutilazione di differenti tipi di acari. Abbiamo usato 17 colonie di api
situate in apiari sperimentali a Erlangen (Germania) e sull'isola di Gotland
(Svezia).
Mettendo le regine in gabbia su
favi-trappola per un certo Periodo di tempo, abbiamo creato periodi successivi
con e senza covata nascente.
Inoltre, in alcune colonie, dei
favi-trappola con covata opercolata, sono stati trattati con calore o acido
formico per uccidere gli acari nelle celle di covata. I detriti sono stati
controllati ogni 12 ore e la mutilazione delle gambe e del corpo di tutti gli
acari femmine sono stati analizzati al microscopio binoculare.
Abbiamo potuto confrontare le percentuali di
mutilazione dei tipi di acari di seguito riportati, acari sulle api
("acaro foretico "), acari nelle celle di covata ("acari della
covata") acari della covata già morti.
Abbiamo analizzato 3620 acari morti e 1005
acari ancora in vita nei detriti.
La maggior parte delle mutilazioni
interessavano le gambe (> 75% degli acari mutilati). Non abbiamo osservato
mutilazioni specifiche per le diverse classi acari.
La percentuale di mutilazione (tutte le
mutilazioni comprese) varia notevolmente da una colonia all'altra: da 30 a 66%
per gli acari foretici e 34-85% per gli acari della covata.
Nel complesso non vi è alcuna differenza
significativa tra il tasso di acari femmina della covata e gli acari foretici
(Fig. 1a).
Gli acari della covata uccisi dal
trattamento sono stati mutilati in quantità leggermente inferiore, il che è
sorprendente (Fig. 1a).
Gli acari ancora vivi nel detriti sono stati
mutilati in proporzione significativamente più bassa (fig. 1b).
Essi erano ancora, almeno in parte, in grado
di riprodursi dopo l'introduzione artificiale in celle di covata (n = 28).
Abbiamo potuto confermare che, in colonie di
api non selezionate, il tasso di smembramento potrebbe essere sorprendentemente
alto (> 50%) e questo non dipendeva dalla presenza o meno covata.
L'elevato
tasso di mutilazione degli acari morti provenienti da celle di covata indica
che le api non mutilano che acari vivi e in grado di riprodursi.
E’ praticamente impossibile calcolare la
proporzione degli acari mutilati vivi e correlarla con la dimensione effettiva
delle popolazioni di Varroa.
Sembra quindi prematuro incorporare questa
analisi, in termini di tempo, in programmi di miglioramento genetico. “
-
Apidologie 30 (1999) 249-256
Recording
the proportion of damaged Varroa jacobsoni Oud. in the debris of honey bee
colonies (Apis mellifera)
Riassunto
Determinazione della percentuale dell’acaro
Varroa jacobsoni Oud. Mutilato tra i detriti delle colonie di api da miele,
Apis mellifera L.
“ La proporzione di acari mutilati nella
mortalità naturale degli acari in colonie di api è discusso come criterio per
la selezione significativa, nel contesto della selezione di api tolleranti a
Varroa jacobsoni.
Dal momento che gli acari possono essere mutilati
da altri fattori oltre le api, si è voluto mettere alla prova alcune modifiche
alla modalità di determinazione di tale tasso. È stata studiata l'influenza
della protezione dell’alveare contro le formiche, della creazione di una
miscela unta sul pavimento dell'alveare e gli intervalli tra le indagini.
Abbiamo anche esaminato in quale quantità la
mutilazione è prodotta dalle api su acari morti e l’influenza, che le
condizioni di conservazione degli acari morti, ha sul tasso di mutilazione.
Sono stati analizzati singolarmente 16.000
acari.
La natura e la quantità delle mutilazioni
fatte sugli acari immaturi e adulti differivano in modo significativo (Figura
1), in modo che solo questi ultimi sono stati presi in considerazione per valutare
il tasso di mutilazione. Il piano di protezione dell'alveare contro le formiche
diminuisce in modo significativo la percentuale di acari mutilata (Tabella I).
Considerato che tale protezione riduce
significativamente la proporzione di mutilazioni non riferibili alle api, l’uso
di una miscela unta sul pavimento dell'alveare non migliora i risultati
(Tabella I). Gli acari non devono rimanere più di due giorni sul pavimento, altrimenti
il tasso di mutilazione aumenta in modo significativo principalmente a causa di
larve di falena (tabelle I e II). Le condizioni in cui gli acari morti sono
conservati influenza in modo significativo il tasso di mutilazione. Gli acari
sono mutilati post mortem nel quadro del comportamento igienico solito. Tuttavia si può dedurre, dalla quantità e
qualità delle mutilazioni trovate in acari morti, che per una parte di essi, la
morte è dovuta a specifici comportamenti
difensivi delle api.
© INRA / DIB / Agib / -- Elsevier, Paris ”
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Dalla
lettura del riassunto dei lavori citati si possono fare delle considerazioni
che magari possono sembrare banali:
- - le api in osservazione sono ligustiche
- - le api sono in grado di produrre delle mutilazioni alle
varroe vive
- - quelle meno selezionate risultano più attive
nell’aggressione alla varroa
- - gli acari ancora vivi nei vassoi, non riportano
mutilazioni, è probabile che derivano da cadute spontanee
Però
manca qualcosa e, come giustamente fanno notare gli autori dei lavori sopra
riportati, il solo grooming non sembra sufficiente al controllo della varroa in
quanto ancora non è stato quantificato con esattezza la percentuale di acari
morti e mutilati per la diretta aggressione delle api .
Ci
sono alcuni elementi che ci sembrano familiari, infatti sono elementi che
ricorrono nell’osservazione e descrizione del comportamento complessivo degli alveari condotti con distanziatori a
SpazioMussi dove invece si realizza un perfetto controllo della popolazione di
varroa.
Poiché
non si può negare il dato di fatto, l’esperienza
è alla base di ogni conoscenza, sicuramente c’è qualcosa che ancora all’epoca
è sfuggito alle indagini.
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