La pompa a calamari è un anello
di filo sintetico a cui sono attaccati dei punti luminescenti muniti di ganci
lisci; l’anello è immerso in acqua e messo in rotazione da una puleggia a
manovella; il movimento luminoso delle finte femmine è irresistibile per i
maschi che vi si aggrappano e così vengono trascinati velocemente sulla barca,
dove accortisi dell’errore lasciano spontaneamente e inutilmente la presa. Il pescatore
non deve fare altro che girare la manovella tirando a bordo quanti più
molluschi è possibile.
Anche in apicoltura applichiamo
da molti anni una strategia simile per contrastare la varroa sotto forma di
diversi metodi che si basano tutti sulla forte attrazione che la covata
maschile esercita sulla varroa.
Primo fra tutti per efficienza e
continuità di azione è il telaino a tre settori dell’apicoltore Michele Campero
che in ogni momento è in grado di attrarre le varroe, presentando con
continuità una porzione di covata aperta disponibile per la varroa.
L’apicoltore-pescatore ha il compito
di raccogliere con cadenza periodica la varroa che si è spontaneamente e
felicemente intrappolata nella covata maschile opercolata; in pratica un vero
pompaggio continuo di varroa dall’alveare.
Ma non è finita qui.
Recentemente, dopo sette anni di applicazione
costante e con successo del metodo messo a punto dall’apicoltore Francesco
Mussi, non solo da parte dello scrivente ma anche da molti altri apicoltori, si
evidenzia un nuovo aspetto dell’azione di lotta alla varroa in conseguenza
dell’applicazione del metodo SpazioMussi ©. L’osservazione sul campo è chiara,
in un apiario composto in massima parte da alveari muniti di distanziatori
SpazioMussi © anche i pochi alveari ancora a spazio Dadant non soffrono
minimamente della varroa, il livello di infestazione generale è talmente basso da
passare inosservato.
E’ lecito chiedersi come mai?
Credo proprio di si.
Qualche secolo fa si sarebbero chiamati
in causa influssi astrali, azioni di folletti, spargimenti di effluvi, ecc.
ecc.
Ma noi “moderni” siamo Galileiani,
su questo abbiamo fondato una civiltà ed una, fino a qualche decennio addietro,
incredibile evoluzione tecnologica-culturale in tutti i campi dello scibile.
Ma non possiamo essere Galileiani
a intermittenza, è difficile frenare la curiosità, per chi ne ha, e la
curiosità, detta anche voglia di capire, è una delle molle fondamentali per il
progresso culturale e scientifico.
Qual è il meccanismo che permette
agli alveari Dadant di liberarsi dalla varroa in presenza di alveari a
SpazioMussi ©?
Cosa hanno in comune gli alveari
di uno stesso apiario ?
Secondo la corrente cultura
apistica, non ci sono contatti diretti tra gli alveari di uno stesso apiario
fatta eccezione per i fuchi che sono ubiquitari ed in grado di orientarsi in un
raggio di quindici chilometri diversamente dalle api che non arrivano a tre.
Il comportamento dei fuchi
unitamente alle distanze percorse dagli sciami naturali sono stati indicati in
passato, come i responsabili della diffusione della varroa come anche il
nomadismo ed il commercio degli sciami artificiali.
In uno studio, realizzato in un
mio apiario negli anni novanta del secolo scorso, da ricercatori
dell’Università di Brema, si dimostra che, tra gli alveari di uno stesso apiario
c’è anche un intenso scambio di api operaie e di regine.
Se è vero che le varroe adulte
viaggiano come clandestine sul dorso o sull’addome delle api, fuchi compresi, allora
è altrettanto verosimile che una volta trasportate in un alveare a SpazioMussi ©
subiscono la sorte delle varroe di casa.
E’ probabile ed anche possibile,
a rigore di logica, che il flusso di api e fuchi tra gli alveari dell’apiario
sia la pompa che drena le varroe con continuità.
D’altro canto è molto improbabile
che qualcuno, che potrebbe farlo, accetti un suggerimento, che viene da un
apicoltore, per una verifica sperimentale di questa ipotesi verosimile, basata soltanto
su una pluriennale osservazione.
Temo proprio che noi apicoltori
dovremo continuare a fare da soli.
Vincenzo Stampa
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