Piovve, piove, pioverà? ( Parte seconda )
Analizzando le voci di spesa possiamo già immaginare l’emergere di un problema sociale, come fa un apicoltore di mezza età, che rimane senza risorse, a mantenere la famiglia? Che può fare un’azienda strutturata ad esempio rispetto ai dipendenti?
Si possono immaginare interventi diversificati a tempo determinato utilizzando strumenti esistenti sulle voci:
Manodopera, prepensionamenti, cassa integrazione in deroga, contributi figurativi come per altre categorie di lavoratori.
Carburanti, classificare i mezzi di trasporto aziendali, furgoni, fuori strada, ecc. come mezzi agricoli per permettere l’accesso ai carburanti agevolati e rivedere il decreto D.A. n. 174/2022 che stabilisce i livelli di consumo per alveare che possiamo definire ridicoli se non offensivi.
Alimentazione, una voce che ha assunto un peso non indifferente nella gestione degli allevamenti, si può ritornare al sistema della denaturazione degli zuccheri per uso animale esenti dalle accise.
Acquisto dei materiali di consumo, indispensabili nella gestione degli alveari, con iva ridotta
Spese generali di gestione. In questa voce rientrano:
a) mutui, è possibile un accordo con le banche per una dilazione delle rate con il pagamento dei soli interessi, come già attuato nel periodo del covid.
b) Dilazione dei pagamenti delle cartelle esattoriali, senza interessi
Se si volesse sostenere tutte le 2000 aziende registrate in anagrafe, con un patrimonio di circa 140.000 alveari, adottando un provvedimento che gravi su un unico capitolo di spesa, potrebbe essere difficoltoso disporre del necessario.
Adottando il criterio di distribuzione degli impegni su fonti diversificate, come ipotizzato, si ha un aggravio limitato per ciascuna e se ne facilita la disponibilità.
La messa in sicurezza delle aziende da sola non basta a risolvere il problema pedo-climatico- produttivo che possiamo vedere da un altro punto di vista, quello degli alveari e della loro gestione.
Gli alveari vivono e producono in base alle risorse ambientali, si calcola che un alveare raccoglie annualmente circa seicento (600) chilogrammi di alimenti quali polline, nettare e acqua, di cui il 90% viene consumato per i fabbisogni dell’alveare stesso.
La situazione contingente ci dice che l’ambiente non è stato in grado di soddisfare le necessità degli alveari attualmente in attività, il rischio di non sopravvivenza è reale; poiché non siamo capaci di governare il clima ne tanto meno di ampliare il territorio l’unica cosa che possiamo fare è ridurre il carico di alveari sul territorio, cioè ridurre i capi in allevamento.
Sappiamo che gli allevatori di bestiame, i quali si trovano in una situazione simile, stanno reagendo macellando gli animali.
Giustamente questa operazione ha l’aspetto di una perdita ma presenta diversi vantaggi, riduce gli impegni e rende gestibili gli alveari rimanenti, nella prospettiva di una futura ripresa rende possibile una produzione, inoltre facilita l’attuazione dei provvedimenti di sostegno di cui abbiamo detto.
Le tecniche apistiche conosciute, di cui qui non trattiamo, ci permettono di ridurre i capi in allevamento minimizzando il danno.
In apicoltura, come in tutti gl allevamenti, ci sono delle perdite annuali, che si attestano fino ad un massimo del 10% come conseguenza di varie cause, un’eventualità accettata consapevolmente dagli apicoltori.
Tutti gli apicoltori sanno che sovraccaricare di alveari un pascolo comporta un aumento del consumo delle risorse disponibili e di conseguenza una riduzione della produzione pro quota che spetterebbe all’apicoltore, questo è il motivo per cui, per consolidata prassi, negli apiari si allocano come massimo circa cinquanta (50) alveari, inoltre la distanza tra gli apiari non può essere inferiore a due chilometri e mezzo (2,5 Km); infatti il raggio di volo produttivo di un alveare non supera i mille metri (1 Km), al di la di questa distanza il raccolto da produttivo diventa di puro sostentamento, al raggio di volo di 1000 metri corrisponde una superficie esplorabile di 314 ettari. La superficie agricola utilizzabile (S.A.U.) è in Sicilia di 1.387.521 ettari sui quali, in teoria possiamo allocare, secondo il criterio esposto, 220.940 alveari 4 contro un patrimonio registrato di circa 140.000 alveari, sottraendo dal valore totale le S.A.U. le superfici coltivate a : cerali, vigneto, oliveto e aggiungendo le superfici a prati permanenti, risulta una superficie S.A.U. totale di 1.236.921 Ha disponibile al sostentamento di 196.961 alveari.
Rimane ancora da valutare in positivo la superficie non S.A.U. cioè quella che viene definita come incolto produttivo sulla cui estensione non abbiamo notizie precise, però è evidente che gli incolti possono giocane un ulteriore ruolo nell’economia apicola.
Da questi ragionamenti e conteggi, basati su notizie statistiche aggiornate, risulta evidente che il territorio regionale sarebbe in grado di mantenere in produzione tutto il patrimonio apistico quale risulta dall’anagrafe apistica.
Però dobbiamo arrenderci alla realtà: a causa delle condizioni climatiche avverse, il territorio non è stato in grado di mantenere gli alveari, la produzione nel 2024 è stata prossima a zero ( -90%) e ci sono anche realtà in cui gli alveari sono alla fame e aziende ben avviate costrette a chiudere.
La disponibilità teorica calcolata, nella realtà viene anche rimodulata dalle abitudini degli apicoltori ad esempio, nei territori dei monti Sicani e delle Madonie, in gran parte pascoli demaniali, la conduzione è stanziale con apiari distribuiti a largo raggio e con un carico di alveari di circa trenta (30) unità ha dato negli anni risultati migliori rispetto agli alveari nomadi che vanno a costituire apiari di grosse entità, affollando i pascoli tradizionali della sulla e degli agrumi, molto spesso senza neanche considerare la distanza tra apiari e in conflitto con gli apicoltori stanziali. Nell’ultimo decennio quest’ultimo comportamento è stato ulteriormente mortificato dal progressivo mutare delle condizioni meteo fino ad arrivare al disastro attuale (2024).
Tutto ciò considerato la proposta di affrontare il problema di sopravvivenza delle aziende apistiche attraverso incentivi legati alla riduzione dei capi in allevamento, rimane una valida alternativa di resilienza.
Non potendo obbligare le aziende a delle scelte difficili e impopolari, occorre mettere in campo un strategia incentivante agganciando l’erogazione di aiuti, sotto le forme di cui si è detto, alla riduzione dei capi in allevamento dentro una forbice che va da un minimo del 20% fino ad un massimo del 50% rispetto a quanto registrato in anagrafe al 31.12. 2023.
Rimane aperta la problematica del nomadismo selvaggio, al di fuori delle regole e del rispetto dei diritti di tutti.
Un comportamento irresponsabile e nocivo anche per chi lo pratica, la mancanza di norme chiare e specifiche rende difficile anche l’intervento delle forze dell’ordine le quali, al di la di una mera constatazione, non hanno norme sulle quali basare i provvedimenti idonei a risolvere i casi di illegalità per i quali è stato richiesto l’intervento.
La rimozione tempestiva dell’apiario illegale è indispensabile per la salvaguardia dei diritti dei danneggiati, infatti per le api è normale utilizzare un pascolo a disposizione, questo rientra nella loro natura per cui, un ritardo nella rimozione dell’apiario incriminato procura inevitabilmente un danno per gli apicoltori rispettosi delle regole