giovedì 23 maggio 2013

Il social grooming e lo Spazio Mussi. Molto divertente ma, non per tutti


Non è possibile parlare di varroa oggi con lo stesso spirito pioneristico degli anni ottanta, del secolo scorso. In seguito alle migliaia di pubblicazioni scientifiche sull’argomento, di altrettanto numerose esperienze pratiche e di decine di prodotti chimici anti varroa in circolazione, oggi, si può parlare di varroa soltanto come di un remoto fatto storico anzi di un relitto storico di cui ancora troviamo traccia negli alveari, un coccio di vaso etrusco, una ossidata moneta punica o se preferite un cognome romano; ho un amico che fa di cognome Pompeo.
Tutti, o quasi, per più di trenta anni, siamo andati a briglia sciolta alla ricerca della “pietra filosofale” di quel qualcosa che: non costa nulla, non accresce l’impegno di lavoro, ed inoltre: di uso facile e di grande efficacia contro la varroa.
Ogni cosa messa in campo fino al 2003, diconsi per ben ventiquattro anni dall’arrivo della varroa, ha presentato una o più manchevolezze rispetto alle caratteristiche desiderate. Eppure tanti uomini di buona volontà si sono arrovellati per giungere ad una soluzione accettabile, non solo per gli apicoltori e per i prodotti dell’alveare ma anche per le api le quali, in questa gigantesca tragicommedia, sono le più dirette interessate.
E sono proprio le api che hanno sofferto di più delle malversazioni degli apicoltori, i quali non hanno esitato a bombardarle con qualsivoglia aggressivo chimico purché economico, di facile applicazione anche se non perfettamente  efficace contro la varroa; tanto alla poca efficacia si è rimediato reiterando gli interventi.
E le api hanno sfoderato una delle più sorprendenti qualità “la resistenza agli attacchi degli apicoltori” ma, purtroppo per loro, anche questa eccezionale resistenza ha finito, generazione dopo generazione, con il mostrare i propri limiti.
Di quante generazioni parliamo?
Se consideriamo il periodo che va dal 1979 all’anno attuale, 2012, e ammettiamo una sostituzione biennale delle regine, sono ben sedici generazioni e più che, rapportate al genere umano, equivalgono a poco più di ben 400 anni di vessazioni continuate e reiterate sempre con maggiore violenza.
Eppure l’arrivo della varroa ha rappresentato per la ricerca oltre che una sfida anche un’opportunità.
Gli studi e le sperimentazioni hanno riguardato la varroa in quanto tale, con l’obbiettivo di trovare un punto debole su cui fare leva  al fine di contrastarla in modo diretto, ed anche il rapporto ape varroa con lo scopo di trovare un punto di equilibrio, di rispettosa convivenza, tra il parassita ed il suo ospite fondato sulle loro abitudini e capacità.
Questa seconda linea dii ricerca ha evidenziato un interessante aspetto del rapporto ape-varroa il “grooming”  che possiamo tradurre in spulciamento, un termine improprio ma che rende l’dea sulla capacità delle api di liberarsi reciprocamente dal parassita.
Da molti anni s’indaga in questa direzione come si vede dai due lavori apparsi su APIDOLOGIE, di cui si riportano i riassunti.
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- Apidologie (1997) 28, 427-437
Damaged Varroa mites in the debris of honey bee (Apis mellifera L) colonies with and without hatching brood.

Riassunto
Varroe mutilate tra i detriti delle colonie di api da miele (Apis mellifera L) con e senza covata nascente.

Un comportamento di grooming diretto in modo specifico contro l'acaro Varroa Oudemans jacobsoni potrebbe ridurre la popolazione di acari in una colonia di api e quindi agire come un fattore di tolleranza dell’ospite.
La possibilità di quantificare Questo comportamento di grooming attraverso la percentuale di acari danneggiati presenti nei detriti dell'alveare è controversa. E’ importante sapere se questi acari erano ancora in vita al momento della mutilazione.
Abbiamo cercato di quantificare il tasso di mutilazione di differenti tipi di acari. Abbiamo usato 17 colonie di api situate in apiari sperimentali a Erlangen (Germania) e sull'isola di Gotland (Svezia).
Mettendo le regine in gabbia su favi-trappola per un certo Periodo di tempo, abbiamo creato periodi successivi con e senza covata nascente.
Inoltre, in alcune colonie, dei favi-trappola con covata opercolata, sono stati trattati con calore o acido formico per uccidere gli acari nelle celle di covata. I detriti sono stati controllati ogni 12 ore e la mutilazione delle gambe e del corpo di tutti gli acari femmine sono stati analizzati al microscopio binoculare.
Abbiamo potuto confrontare le percentuali di mutilazione dei tipi di acari di seguito riportati, acari sulle api ("acaro foretico "), acari nelle celle di covata ("acari della covata") acari della covata già morti.
Abbiamo analizzato 3620 acari morti e 1005 acari ancora in vita nei detriti.
La maggior parte delle mutilazioni interessavano le gambe (> 75% degli acari mutilati). Non abbiamo osservato mutilazioni specifiche per le diverse classi acari.
La percentuale di mutilazione (tutte le mutilazioni comprese) varia notevolmente da una colonia all'altra: da 30 a 66% per gli acari foretici e 34-85% per gli acari della covata.
Nel complesso non vi è alcuna differenza significativa tra il tasso di acari femmina della covata e gli acari foretici (Fig. 1a).
Gli acari della covata uccisi dal trattamento sono stati mutilati in quantità leggermente inferiore, il che è sorprendente (Fig. 1a).
Gli acari ancora vivi nel detriti sono stati mutilati in proporzione significativamente più bassa (fig. 1b).
Essi erano ancora, almeno in parte, in grado di riprodursi dopo l'introduzione artificiale in celle di covata (n = 28).
Abbiamo potuto confermare che, in colonie di api non selezionate, il tasso di smembramento potrebbe essere sorprendentemente alto (> 50%) e questo non dipendeva dalla presenza o meno covata.
L'elevato tasso di mutilazione degli acari morti provenienti da celle di covata indica che le api non mutilano che acari vivi e in grado di riprodursi.
E’ praticamente impossibile calcolare la proporzione degli acari mutilati vivi e correlarla con la dimensione effettiva delle popolazioni di Varroa.
Sembra quindi prematuro incorporare questa analisi, in termini di tempo, in programmi di miglioramento genetico. “


- Apidologie 30 (1999) 249-256
Recording the proportion of damaged Varroa jacobsoni Oud. in the debris of honey bee colonies (Apis mellifera)

Riassunto
Determinazione della percentuale dell’acaro Varroa jacobsoni Oud. Mutilato tra i detriti delle colonie di api da miele, Apis mellifera L.

“ La proporzione di acari mutilati nella mortalità naturale degli acari in colonie di api è discusso come criterio per la selezione significativa, nel contesto della selezione di api tolleranti a Varroa jacobsoni.
Dal momento che gli acari possono essere mutilati da altri fattori oltre le api, si è voluto mettere alla prova alcune modifiche alla modalità di determinazione di tale tasso. È stata studiata l'influenza della protezione dell’alveare contro le formiche, della creazione di una miscela unta sul pavimento dell'alveare e gli intervalli tra le indagini.
Abbiamo anche esaminato in quale quantità la mutilazione è prodotta dalle api su acari morti e l’influenza, che le condizioni di conservazione degli acari morti, ha sul tasso di mutilazione.
Sono stati analizzati singolarmente 16.000 acari.
La natura e la quantità delle mutilazioni fatte sugli acari immaturi e adulti differivano in modo significativo (Figura 1), in modo che solo questi ultimi sono stati presi in considerazione per valutare il tasso di mutilazione. Il piano di protezione dell'alveare contro le formiche diminuisce in modo significativo la percentuale di acari mutilata (Tabella I).
Considerato che tale protezione riduce significativamente la proporzione di mutilazioni non riferibili alle api, l’uso di una miscela unta sul pavimento dell'alveare non migliora i risultati (Tabella I). Gli acari non devono rimanere più di due giorni sul pavimento, altrimenti il tasso di mutilazione aumenta in modo significativo principalmente a causa di larve di falena (tabelle I e II). Le condizioni in cui gli acari morti sono conservati influenza in modo significativo il tasso di mutilazione. Gli acari sono mutilati post mortem nel quadro del comportamento igienico solito. Tuttavia si può dedurre, dalla quantità e qualità delle mutilazioni trovate in acari morti, che per una parte di essi, la  morte è dovuta a specifici comportamenti difensivi delle api.
© INRA / DIB / Agib / -- Elsevier, Paris ”
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Dalla lettura del riassunto dei lavori citati si possono fare delle considerazioni che magari possono sembrare banali:
-          - le api in osservazione sono ligustiche
-         -  le api sono in grado di produrre delle mutilazioni alle varroe vive
-          - quelle meno selezionate risultano più attive nell’aggressione alla varroa
-           - gli acari ancora vivi nei vassoi, non riportano mutilazioni, è probabile che derivano da cadute spontanee

Però manca qualcosa e, come giustamente fanno notare gli autori dei lavori sopra riportati, il solo grooming non sembra sufficiente al controllo della varroa in quanto ancora non è stato quantificato con esattezza la percentuale di acari morti e mutilati per la diretta aggressione delle api .
Ci sono alcuni elementi che ci sembrano familiari, infatti sono elementi che ricorrono nell’osservazione e descrizione del comportamento complessivo degli alveari condotti con distanziatori a SpazioMussi dove invece si realizza un perfetto controllo della popolazione di varroa.
Poiché non si può negare il dato di fatto, l’esperienza è alla base di ogni conoscenza, sicuramente c’è qualcosa che ancora all’epoca è sfuggito alle indagini.

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