martedì 5 febbraio 2013

Apicoltura in concreto: Adattarsi allo SPAZIOMUSSI®

Se penso che è dal 1979 che mi scervello, e come me moltissimi altri apicoltori, per trovare una soluzione al problema varroa, compatibile con la sanità alimentare, e che alla fine la soluzione se la sono trovata le api, quando sono state messe in condizione di poterlo fare, mi viene spontanea una domanda “ perché non è successo prima ?”
Non è facile rispondere a questa domanda.
E’ probabile che gli enormi vantaggi che ci derivano dalla tecnologia ci hanno fatto, se non perdere, per lo meno allentare il contatto con la natura e siamo “afflitti” da un certo strasbismo tecnologico.
Per tutti quelli che già da anni hanno imbroccato la strada della produzione biologica in apicoltura, la scoperta dello SPAZIOMUSSI®  è un arcobaleno di speranza e di promesse.
Purtroppo però spesso la pratica e la conoscenza percorrono strade diverse che, come la storia c’insegna, finiranno prima o poi, con molto impegno e pazienza, con l’incontrarsi e completarsi a vicenda.
Un dato di fatto è che lo SPAZIOMUSSI®  funziona, certamente non così sic et simpliciter  perché, come ben sappiamo, tutte le volte che cambiano le condizioni ambientali, cambia inevitabilmente il comportamento delle api.
Di conseguenza anche l’apicoltore dovrà adattare i suoi metodi o per meglio dire le sue abitudini alla nuova situazione.
Senza volere fare escursus o argomentazioni scientifiche che competono ad altri ambiti, tanto qualificati quanto, fino ad ora, silenziosi, mi limiterò ad una soltanto delle tante problematiche pratiche messe in campo dallo SPAZIOMUSSI®. 
Premesso che ci sono dei punti fermi che riguardano la biologia e l’etologia delle api che, ovviamente, non possono essere modificati, la naturale variabilità delle popolazioni e le diverse condizioni climatiche-ambientali ci costringono a ragionare per valori medi; ciò nulla toglie alla validità del ragionamento.
Accrescimento degli alveari
Noi tutti, apicoltori, siamo abituati a valutare la forza e l’accrescimento di un alveare dal numero di favi occupati dalle api; ora, adottando lo SPAZIOMUSSI®, questo punto di vista deve essere modificato.
Sappiamo che un’ape adulta occupa una superficie di favo  circa tre volte più grande  rispetto ad un’ape in una cella; ciò significa che le api adulte che nascono da un favo di covata occuperanno in totale la superficie di 3 favi.
Nel caso dello spazio mussi, poiché lo spazio interfavo è maggiore del 50% ( vedi figura 1), possiamo immaginare che nello stesso periodo la superficie di favo occupata dalle api adulte sarà inferiore del 50% cioè :
3 / 1,5 =  2 favi.
Questo può spiegare perché l’accrescimento, in termini di favi, di uno sciame a spazio mussi è più lento rispetto ad uno sciame a spazio dadant.


Controprova
Supponiamo che un favo di covata che contiene in totale 
9,8 x 425 x 2 =  8330 celle 

Quanta superficie occupano le  8330 api che nasceranno?
Sappiamo da diversi lavori  che :
a) la densità di api adulte sulla superficie dei favi è di circa  134 api per 1 dm2 (1)
b) il valore medio di celle per dm2 è di 425  (2)
c) nella distanza interfavo Dadant di 1,3 cm ci stanno due strati di api che si toccano dorso a dorso (3)
 Se ne deduce che :

a spazio Dadant
a) il numero di api per facciata di favo è 9,8 dm2 x 134 = 1313 
b) le facciate di favo occupate sono   8330 / 1313 = 6,3 cioè  3,1 favi

a SPAZIOMUSSI® 
la superficie dei favi  è la stessa ma la distanza interfavo è maggiore di 1,5 volte pertanto il numero di favi occupati è 3,1/ 1,5 = 2,0  

I risultati sono in buon accordo con le evidenze di lavoro che mostrano un ritardo nell’accrescimento degli alveari a SPAZIOMUSSI®  misurato come numero di favi occupati.

Di quanto sarà il ritardo rispetto alla posa dei melari ?
Dalle esperienze passate sappiamo che per arrivare alla posa dei melari in sincronia con la prima fioritura produttiva occorre iniziare a stimolare la deposizione, con alimentazione magari a base di candito proteico, almeno 45 giorni prima della data prevista per la fioritura.
Intanto nell’arnia standard con distanziatori SPAZIOMUSSI® ci vanno nove favi al posto di 10 e questo già ci fa guadagnare qualcosa in termini di tempo
Il volume dell’arnia da riempire con api è identificabile con lo spazio interfavo


se poi consideriamo che è possibile dare il melario quando l’alveare a spaziomussi ha raggiunto i sette favi di api, abbiamo ancora un guadagno in termini di tempo


In teoria, con l’accorgimento di mantenere l’alveare su sette favi, non cambiano i tempi di sovrapposizione del melario; questo perché il numero di api su sette favi  SPAZIOMUSSI® è lo stesso che su 10 favi a spazio Dadant.
In effetti il criterio di valutazione per la posa dei melari o la concessione di un foglio cereo non dovrà essere il numero di favi occupati ma piuttosto la  popolosità dell’alveare.

Questo risultato teorico  è abbastanza aderente alla realtà infatti, l’esperienza degli ultimi tre anni ci dice che l’alveare a SPAZIOMUSSI®, mantenuto alla dimensione di sette favi, costretti tra due diaframmi mobili, produce e si comporta allo stesso modo di un alveare a dieci favi Dadant anche se richiede il melario con circa una settimana di ritardo.



(1) ACCORTI M. - Valutazione numerica degli adulti di Apis mellifera L.: variazioni           e modifiche al metodo dei sesti.
(2) Lega    - conoscere le api, note tecniche 4;  Alphandery – trattato completo             di apicoltura pag  353 e seg.
(3) Alphandery  -  pag  127

1 commento:

  1. Molto interessante, il fatto di mantenere la famiglia su sette favi comporta oltre che ad un impiego ridotto di materiale, un risparmio di tempo nel controllo del nido o ad una visita più accurata dello stesso. Mi chiedo se con una densità di 850 celle per dm2 quale quella che uso nei miei alveari potrei avere la necessità di utilizzare un favo in più. Forse la cosa migliore sarà sperimentare direttamente in campo !
    Grazie
    Saluti M. Moretti

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