mercoledì 20 gennaio 2010

La partita della Vita e dell’ Apicoltura si gioca sulla freccia del tempo

L’articolo dal titolo “ Morìa di api : Confermata la Tesi sulla Carenza di Polline “ pubblicato recentemente su www.federapi.biz nel passaggio in cui dice “che le api vanno alla continua ricerca di pollini ad elevato contenuto proteico “  mi ha portato ad una serie di elucubrazioni sulle capacità delle api, che ogni tanto vengono alla luce grazie all’opera di qualche raro ricercatore sagace .
La domanda allora è; le api sanno ?
Francamente faccio fatica ad ammettere che questo “sanno “ possa aver un senso di cultura per le api, laddove per cultura s’intende comunemente un sapere che si trasmette da individuo ad individuo e per generazioni successive.
Sono più propenso a credere che le api sappiano fare, dove il fare è un’azione che può derivare dal possesso di uno strumento che dia la percezione di un fatto o di una differenza cioè che dia alle api la possibilità di misurare ovvero valutare.
Su questo abbiamo molte prove infatti, le api sanno valutare e comunicare le distanze, valutare il trascorrere del tempo, la temperatura, il grado zuccherino del nettare ecc. ecc., come ci insegnano gli etologi.
Ma, da dove deriva questa capacità valutativa ?
Certamente noi, umani, non facciamo fatica a ragionare in termini di anni o di secoli ma, ben altra cosa è la percezione dei tempi geologici che vanno in pacchetti di centinaia di migliaia o milioni di anni.
Eppure tutta la natura che noi conosciamo viene da lì, da milioni di anni or sono e, nello scorrere di questo tempo, si sono attuati e consolidati mutamenti comportamentali e fisici necessari alla sopravvivenza ed alla diffusione degli esseri viventi sul pianeta.
Sulla freccia del tempo, monotòna e perpetua, viaggiano più vantaggiosamente  quegli individui che si sono rivelati più adatti di altri ad interagire con l’ambiente inteso in senso lato.
Ora immaginiamo di potere fotografare, in una istantanea, una definita popolazione di individui e di indagare su vari aspetti biologici di questa popolazione, ad esempio : dimensione del corpo, colore degli occhi, senso di orientamento ecc. ecc. 
Noi troveremo, se le misure sono state sufficientemente accurate e numerose, che non tutti gli individui posseggono in ugual misura queste caratteristiche e capacità e che queste sono statisticamente distribuite su tutta la popolazione presa in esame, secondo una curva di distribuzione  che prende il nome di GAUSSIANA  il cui aspetto esemplificativo è mostrato in figura.

Cosa ci dice la gaussiana o curva di Gauss ?

Ci dice che, in una popolazione finita di soggetti/oggetti, una particolare e definita proprietà/caratteristica, posseduta in diverso modo da ogni singolo soggetto/oggetto, si distribuisce, all’interno della popolazione, in modo tale che pochi individui possiedono al massimo valore quella proprietà/caratteristica ( in figura picco centrale ), altrettanto basso è il numero di individui che possiedono al minimo tale proprietà ( estremità laterali ), mentre la maggior parte degli individui si colloca sul valore medio ( zona centrale ).


Adesso consideriamo una popolazione di api che, per un certo periodo di tempo, ad esempio dell’ordine di centomila anni, si è trovata a dovere risolvere un problema esistenziale postole da particolari condizioni ambientali e supponiamo ancora che all’interno di questa popolazione alcuni individui, naturalmente dotati della necessaria attitudine, abbiano trovato la migliore soluzione al problema.
Va da se che questi individui hanno avuto maggiori probabilità di sopravvivenza e di riproduzione, trasmettendo, ai loro discendenti, anche questa particolare capacità.


Ora, in milioni di anni, quante di queste particolari situazioni si sono verificate? 
E quante soluzioni, individui adatti, sono state trovate?
Non abbiamo modo, io credo, di quantificare questo dato.
Però possiamo procedere con un ragionamento di tipo statistico per cui è lecito affermare che, in una popolazione sufficientemente numerosa e per un tempo sufficientemente lungo, sicuramente troviamo un gruppo di individui più adatti di altri alla risoluzione di un particolare problema esistenziale.
Per ogni singolo problema e relativa soluzione dunque, possiamo tracciare una curva di distribuzione Gaussiana all’interno di quella popolazione.
Aggiungiamo ancora che non sono sempre necessariamente gli stessi individui a possedere al massimo grado l’attitudine alla soluzione di ogni problema ovvero che le capacità sono distribuite, per usare un termine caro ai politici, trasversalmente all’interno della popolazione in esame.
Ne consegue che è la totalità degli individui attuali che ha, nel suo patrimonio genetico, l’eredità di tutte queste soluzioni sotto forma di istruzioni per risolvere un problema; capacità di misurare con propri strumenti; possibilità di agire con propri mezzi fisici ( corporei ) ecc. ecc.


L’apicoltore non si stupisce della capacità delle api di: 
-costruire esagoni perfetti, 
-valutare la migliore fonte nettarifera, 
-misurare l’ampiezza di uno spazio, il trascorrere del tempo, ecc. ecc. 
allora, io mi chiedo, perché l’apicoltore è incredulo di fronte all’efficienza del metodo CAMPERO o del metodo SpazioMussi © ? 
Non sono forse sempre le api le artefici di tutto questo ?
Secondo il mio punto di vista, le api hanno semplicemente ripescato, rispetto ai metodi Campero e Mussi, nel loro serbatoio genetico, attitudini e abilità che non potevano estrinsecare per le avverse condizioni ambientali. Non parliamo certo di condizioni esterne all’alveare ma, molto semplicemente, dell’ambiente arnia in cui le api hanno vissuto e vivono, costrette dall’apicoltore.
La necessità per le api di costruire uno o più favi maschili fa parte di quel complesso di azioni che risponde ad una necessità inderogabile per ogni essere vivente, la pulsione riproduttiva, per mezzo della quale ogni specie vivente tenta di occupare il maggior spazio possibile al fine di massimizzare la sua probabilità di esistere sul pianeta.
Il merito dell’apicoltore Campero è stato quello di finalizzare questa pulsione naturale alla lotta alla varroa, anche sfruttando la preferenza naturale della varroa a parassitare la covata maschile.
Per quanto riguarda lo SpazioMussi© occorre precisare che la distanza interfavo Dadant non è stata scelta, a suo tempo, in funzione del benessere delle api ma, è il risultato di un compromesso tra la necessità di assicurare all’alveare quantità di scorte sufficienti a superare l’inverno e, nello stesso tempo, non eccessive per non intaccare troppo la produzione di miele disponibile per l’apicoltore.
L’intuizione dell’apicoltore Francesco Mussi, che si basa sull’osservazione del comportamento degli sciami naturali riguardo alla costruzione dei favi in modo spontaneo e alla loro maggiore resistenza alla varroa, ha portato alla scoperta dello SpazioMussi ©. 
Possiamo dire che le api avendo un maggiore spazio a disposizione hanno imparato a combattere la varroa?
Assolutamente no!  
E’ più corretto pensare che, le api, siano state messe in condizione di mettere in pratica un’abilità a suo tempo acquisita, chissà come e chissà perché e che adesso la trovano utile per liberarsi dal parassita varroa.
La questione è: abbiamo commesso degli errori ? 
La risposta è sicuramente, Si !
Abbiamo sbagliato nel presumere di avere capito tutto sul comportamento delle api, nel dare per scontato che i traguardi tecnici ed i metodi di conduzione applicati, fossero il top del possibile, che tutto fosse risolvibile con la sola applicazione della tecnologia e della chimica e non abbiamo tenuto conto del parere delle api.
Dov’è finito quel fermento di ricerca applicata ai materiali e ai metodi in apicoltura che ha caratterizzato, come si evince dalla letteratura, il mondo scientifico e apistico fino agli anni trenta e quaranta del secolo appena trascorso ? 
Dove sta dunque la difficoltà ?
Sta nella nostra capacità di confrontarci, senza pregiudizi, con un mondo che ancora è in parte da scoprire, come apicoltori ci siamo preoccupati di massimizzare le produzioni concentrandoci sulle tecniche di conduzione, sulla modifica delle attrezzature e delegando al mondo scientifico, la ricerca, come sarebbe normale, ma, anche il confronto sulle osservazioni del comportamento delle api.
Il tempo scorre, valuta, seleziona, la questione è chiara, come individui non siamo eterni sulla freccia del tempo ma, come specie, non possiamo sfuggire alla sua valutazione.
Adoperiamoci per ridurre al minimo le brutte figure.

Vincenzo Stampa







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